Lavoro e previdenza sociale

Infortuni: se il rischio è generale risponde il datore di lavoro “apicale”

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva assolto per insussistenza del fatto da una serie di violazioni in materia di prevenzione infortuni sul lavoro l’amministratore delegato di una società, ritenendolo non qualificabile come datore di lavoro per aver delegato gli adempimenti prevenzionistici ad un dirigente aziendale, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 17 marzo 2022, n. 9028 – nell’accogliere la tesi del Procuratore Generale che aveva proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di proscioglimento, secondo cui la posizione giuridica del delegato non era assimilabile a quella del datore di lavoro come fissata dall'art. 2, lett. b) del D.Lgs. n. 81 del 2008 – ha affermato l’importante principio secondo cui la previsione normativa che prefigura la possibilità di avere nell'ambito di una medesima impresa una pluralità di datori di lavoro non permette di proiettare gli effetti del singolo ruolo datoriale sull'intera organizzazione, con la conseguenza che una volta individuato il rischio come non specifico delle attività svolte nella singole unità produttive, tanto che la sua gestione presuppone poteri non disponibili a quei datori di lavoro, è del tutto conseguente che la valutazione di tale rischio è oggetto di un obbligo che fa capo al datore di lavoro 'apicale'.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Cass. pen. sez. IV, 07/01/2016, n. 18200

Cass. pen. sez. IV, 08/01/2021, n. 32899

Difformi

Non si rinvengono precedenti in termini

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, definisce «datore di lavoro» il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.

Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo.

L'unicità del concetto di datore di lavoro impone di escludere che la relativa figura possa essere sotto-articolata a seconda delle funzioni svolte o dei settori produttivi e che la medesima organizzazione, ove unitaria, o una sua unità produttiva possano conoscere la compresenza di più datori di lavoro. L'interpretazione dell'art. 2, citato, nei termini ora esposti trova conferma in plurime decisioni di legittimità (Cass. pen. sez. IV, n. 18200 del 7 gennaio 2016, G. ed altro, CED Cass. 266640) che affronta alle pagg.9-11 il tema di chi debba essere considerato "datore di lavoro" in relazione ai poteri di gestione dell'intera unità organizzativa.

Una ancor più chiara lettura del dato normativo riferita a organizzazioni complesse e articolate su più unità organizzative si rinviene in altra decisione (Cass. pen. sez. IV, n. 32899 dell'08/01/2021, PG c. C.), che, in particolare, alle pagine 481 e 482 sottolinea come la previsione normativa che prefigura la possibilità di avere nell'ambito di una medesima impresa una pluralità di datori di lavoro non permette di proiettare gli effetti del singolo ruolo datoriale sull'intera organizzazione. La costituzione di un datore di lavoro all'interno di una più ampia organizzazione per effetto dell'articolazione di questa in più unità produttive presuppone che sia individuabile ed individuata siffatta unità per le cui necessità di funzionamento il soggetto chiamato a gestirla viene dotato di tutti i poteri decisionali e di spesa necessari. Si stabilisce, così, una relazione biunivoca tra tale soggetto e l'unità organizzativa, tale per cui egli diviene in essa — e solo nell'ambito di essa — datore di lavoro.

In realtà organizzative che presentano simile connotazioni si determina la contestuale presenza di un datore di lavoro al vertice dell'intera organizzazione — che pertanto potrebbe dirsi 'apicale' - e di uno o più datori di lavoro che potrebbero definirsi 'sottordinati'. Infatti, per essi il ruolo datoriale non elide il vincolo gerarchico verso il datore di lavoro 'apicale'; la particolarità è che tale vincolo si esprime con modalità che non intaccano i poteri di decisione e di spesa richiesti dalla autonoma gestione dell'unità produttiva. Quando invece tali vincoli si riflettono anche su tale gestione, è da escludersi che ricorra un datore di lavoro sottordinato, profilandosi piuttosto un dirigente. Il datore di lavoro sottordinato è quindi destinatario di tutte le prescrizioni che si indirizzano alla figura datoriale; ma entro la e in funzione della gestione della sicurezza nell'ambito dell'unità organizzativa affidatagli. Esemplificando, egli sarà tenuto ad eseguire la valutazione di tutti i rischi connessi alle attività lavorative svolte nell'unità; a redigere il documento di valutazione dei rischi; a nominare il medico competente ed il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione. Quella stretta connessione che lo stesso disposto normativo pone fa sì che la valutazione dei rischi non possa attenere a rischi che risultano affidati a diversi datori di lavoro (per esempio quelli ai quali è stata affidata altra unità produttiva fornita di analoga autonomia; ma anche quello che resta vertice dell'organizzazione entro la quale sono individuate le diverse unità produttive autonome).

Proprio per tale motivo, la Cassazione, nell’emarginata sentenza, ritenne corretta la replica che i giudici di merito avevano indirizzato al rilievo difensivo tendente a valorizzare la previsione di più datori di lavoro, costituiti dai Capi del compartimenti territoriali: una volta individuato il rischio come non specifico delle attività svolte nelle singole unità produttive, tanto che la sua gestione presuppone poteri non disponibili a quei datori di lavoro, è del tutto conseguente che la valutazione di tale rischio è oggetto di un obbligo che fa capo al datore di lavoro 'apicale'.

Tanto premesso, nel caso in esame, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale, interessato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, aveva assolto con la formula perché il fatto non sussiste, un datore di lavoro dai reati a lui ascritti:

a)artt. 29, primo comma e 55, primo comma lettera A) del D.Lgs n. 81/2008;

b)artt. 17, comma 1, lettera B) e 55, comma 1, lettera B) del D.Lgs. n. 81/2008.

Le condotte erano riferite alla valutazione del rischio (DVR) connesso alle "malattie trasmissibili pandemia Covid-2019" oggetto del DVR e alla designazione del responsabile per la sicurezza.

Ricorrendo in Cassazione, il Pubblico Ministero sosteneva che il giudice aveva erroneamente interpretato il dato normativo e pronunciato sentenza assolutoria. In estrema sintesi, il PM sosteneva che la qualifica di "datore di lavoro", rilevante ai fini delle violazioni contestate, competesse all’imputato quale consigliere delegato, CE0 e capo azienda della società. L'art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008 definisce il datore di lavoro come il soggetto titolare del rapporto di lavoro e che ha la responsabilità dell'organizzazione in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Il datore di lavoro può, in via generale e salvo quanto si dirà, delegare i suoi poteri a un soggetto specifico che possieda i requisiti richiesti dalla legge. Nel caso in giudizio, la delega era stata effettuata ad un dipendente, avente qualifica di dirigente, con atto notarile. L'art. 17 del D.Lgs. n. 81/2008 esclude, però, in modo espresso che la facoltà di delega operi per la valutazione dei rischi e per la designazione del responsabile per la sicurezza. Secondo il PM, il dato letterale della norma appariva insuperabile. Conseguentemente l'imputato doveva essere chiamato a rispondere delle omissioni contestatigli nell'imputazione ed errata risultava la sentenza di assoluzione.

La Cassazione, nell’accogliere la tesi del PM, ha affermato il principio di cui in massima, in particolare valorizzando quei precedenti giurisprudenziali dianzi citati circa l’individuazione del datore di lavoro nelle organizzazioni complesse. In particolare, ha osservato La S.C. la motivazione della sentenza andava esaminata partendo dalla circostanza di fatto, che lo stesso Tribunale aveva ritenuto accertata e condivisibile, che lo stesso dirigente aveva dichiarato che, sulla base della delega ricevuta, egli doveva essere ritenuto titolare del rapporto di lavoro "in senso prevenzionale/sicuristico", ma "non anche in senso giuslavoristico". Questa circostanza imponeva di concludere secondo la Cassazione che la posizione giuridica del delegato non era assimilabile a quella del datore di lavoro come fissata dall'art. 2, lett. b) del D.Lgs. n.81/2008. Tale disposizione, infatti, individua il datore di lavoro nella persona che è "titolare del rapporto di lavoro" o che comunque "ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa" con riferimento a tutta l'operatività aziendale. L'unicità̀ del concetto di datore di lavoro impone pertanto secondo la Cassazione, di escludere che la relativa figura possa essere sotto-articolata a seconda delle funzioni svolte o dei settori produttivi e che la medesima organizzazione, ove unitaria, o una sua unità produttiva possano conoscere la compresenza di più datori di lavoro.

Una volta escluso che l'atto notarile avesse per oggetto l'intera organizzazione e l'intero rapporto giuslavoristico, doveva concludersi che lo stesso delegato non rivestiva la qualifica di datore di lavoro, rimasta in capo al delegante, ma era stato investito di una delega parziale di funzioni e responsabilità che non includeva l'attribuzione di poteri decisionali e di spesa riferiti all'intera struttura organizzativa. A tale conclusione conseguiva che il delegante restava unico titolare degli adempimenti previsti in materia di sicurezza, non delegabili ai sensi dell'art. 17 citato, adempimenti che egli pacificamente non aveva curato.

Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso del PM.

Riferimenti normativi:

Art. 2, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008

Art. 16, D.Lgs. n. 81/2008

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