Responsabilità civile

Dieselgate: motori “puliti”, ma solo sui rulli

Il Tribunale di Venezia (sentenza 7 luglio 2021) - nel decidere l'azione di classe promossa da Altroconsumo per accertare l'illiceità della pratica commerciale posta in essere dal Gruppo Volkswagen, consistente nella manipolazione del dispositivo in grado di modulare le emissioni inquinanti dei motori montati su alcuni veicoli prodotti nel periodo 2005-2009, ha stabilito che ai consumatori che li abbiano acquistati spettano, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, una somma pari al 15% del prezzo medio di tali veicoli, da dimezzare per chi abbia acquistato un veicolo usato oppure l'abbia rivenduto nel periodo in cui si è protratta la pratica e, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, un importo pari al 10% di quanto ottenuto a titolo di ristoro del danno patrimoniale. A ciò aggiungasi che la corte veneta ha altresì sanzionato la VW – liquidando in misura doppia rispetto al dovuto le spese di soccombenza in favore delle controparti - per aver abusato del processo, reiterando nel corso del giudizio eccezioni relative alle modalità di adesione, pur a fronte di orientamenti contrari della giurisprudenza di legittimità, nonché resistendo temerariamente all’azione di classe nonostante fosse stata già sanzionata per tale condotta dall'AGCOM con provv. del 04.08.2016, confermato dal Tar Lazio il 31.05. 2019 sent. n. 6920. La decisione in esame (anticipata da Trib. Avellino del 10.12.2020 e seguita da Trib. Genova del 05.10.2021, che, seppure con un impianto motivazionale più stringato, condannano la VW al risarcimento del danno cagionato a singoli acquirenti), muovendosi nel solco tracciato dalla Corte di giustizia europea del 17.12.2020, C-693/18, intervenuta in corso di causa, rappresenta la risposta italiana allo scandalo, anche noto come dieselgate, che scoppiò il 18.09. 2015, allorquando l’agenzia federale USA sull’ambiente notificò al Gruppo VW “A Notice of Violation of the Clean Air Act” per l’istallazione del software manipolatore.

Per un approfondimento, v. P. Santoro, Dieselgate italiano: (e)mission impossible. Il Tribunale di Venezia accoglie la class action e, in sintonia con i Tribunali di Avellino e Genova, riconosce il risarcimento dei danni da illecito antitrust e da pratiche commerciali scorrette, in corso di pubblicazione su Danno e responsabilità n. 2/2022.

Il motivo del contendere

La pratica commerciale contestata nella class action italiana ha per presupposto la fraudolenta progettazione e installazione sui veicoli degli aderenti di un impianto di manipolazione delle emissioni (defeat device), progettato in modo da riconoscere quando il veicolo è sottoposto alle prove di omologazione e operare così, a seconda dei casi, secondo due distinte modalità:

(a) se viene riconosciuta una fase di omologazione, l’impianto aumenta l’apertura della valvola EGR e il ricircolo dei gas di scarico, riducendo così le emissioni entro i limiti di legge per la classe Euro 5 (i.e. 180 mg/km);

(b) se manca l’individuazione di una fase di omologazione, l’impianto riduce il ricircolo dei gas di scarico con conseguente incremento delle emissioni oltre i limiti di legge.

Nel resistere il Gruppo VW, pur ammettendo la doppia modalità di funzionamento del proprio impianto di manipolazione delle emissioni, contestava che lo stesso fosse qualificabile come un defeat device illegale in base al diritto europeo - nonostante la competente autorità di omologazione (i.e. la KBA) ne avesse ordinato la rimozione da tutti i veicoli sul presupposto che si trattasse appunto di un impianto di manipolazione vietato dall’ordinamento europeo

La sentenza della CGUE

La decisione della CGUE - C693/18, intervenuta nel corso della class action italiana il 17 dicembre 2020, è dirimente per i giudici del collegio veneto. Dacché i giudici europei chiariscono che un dispositivo del tipo utilizzato dal Gruppo VW, per essere conforme al diritto europeo, dovrebbe entrare in funzione sia durante le prove di omologazione in laboratorio sia durante l’uso del veicolo su strada in condizioni di normale utilizzo. La doppia modalità di funzionamento del sistema di controllo delle emissioni è quindi da ritenersi contraria al diritto europeo.

La corte veneta nel fare proprie le conclusioni dei giudici eurounitari, declina tre logici corollari:

- la produzione e commercializzazione di veicoli equipaggiati con un dispositivo di tal tipo costituisce un comportamento contrario al canone di diligenza richiesto al professionista nella misura in cui viola i generali principi di correttezza e buona fede, con concreta attitudine a falsare il comportamento economico del consumatore;

- integra una pratica commerciale ingannevole ai sensi dell’art. 23, co. 1, lett. d) d.lgs. 206/05, l’ aver falsamente asserito che il veicolo ha ottenuto lecitamente l’omologazione da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell'autorizzazione, dell'accettazione o dell'approvazione ricevuta, dacché il defeat device è progettato proprio allo scopo di eludere gli obbligo di legge, facendo in modo che il limite delle emissioni sia rispettato solo in condizioni di guida corrispondenti ai parametri di svolgimento delle prove di omologazione e non quindi nel corso del normale utilizzo;

- sono ingannevoli le comunicazioni promo-pubblicitarie che fanno ricorso a green claims che annoverano tra le priorità del Gruppo la tutela dell’ambiente e la sostenibilità dei propri prodotti.

Da tanto consegue che la progettazione e installazione del defeat device e della conseguente commercializzazione di veicoli dotati di tale dispositivo illegale ha indebitamente falsato il comportamento commerciale degli aderenti alla class action.

Il danno risarcibile

La sentenza del Tribunale di Venezia ha il pregio di delineare il perimetro del danno risarcibile, identificandolo nella lesione della libertà di autodeterminazione negoziale del consumatore, determinata da un’inadeguata informazione e da una scorretta pubblicità, nonché conseguente all'esercizio delle pratiche commerciali violando principi di buona fede, correttezza e lealtà, di cui all’art. 2 cod. consumo.

Per la Corte la conseguenza dannosa della lesione del diritto all’autodeterminazione del consumatore ben può tradursi in una disutilità patrimoniale per il consumatore medesimo, da intendersi in termini di maggior esborso ovvero di inutile esborso supplementare per l’acquisto di un bene con caratteristiche qualitative inferiori o comunque diverse rispetto a quelle fatte credere al consumatore, destinatario di una campagna di marketing fuorviante e tale, quindi, da indurlo in errore. Così accertato il superamento dei limiti di emissione NOx dei veicoli con motorizzazione EA189, il danno risarcibile in capo al consumatore consiste nel maggior aggravio economico, parametrato al maggior prezzo dei veicoli omologati Euro5, sostenuto per l’acquisto di un veicolo formalmente Euro5, ma di fatto di classe Euro inferiore.

Di tale lesione le imprese convenute (produttore tedesco e distributore italiano), che non hanno avuto rapporti contrattuali diretti con gli acquirenti dei veicoli, sono chiamate a rispondere a titolo di illecito aquiliano; ciò in quanto le condotte del produttore e del distributore integrano tutti gli elementi dell’illecito civile, attesa sia l’ingiustizia del danno, in quanto lesiva del diritto fondamentale del consumatore all’autodeterminazione ex art. 2 Codice del Consumo, sia la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’assenza “della specifica competenza ed attenzione”– se non proprio del dolo – del danneggiante, per aver veicolato dei messaggi pubblicitari contenti informazioni non conformi al vero ovvero omissive, sia il nesso causale in ragione dell’idoneità di detti messaggi a trarre in errore il consumatore e, quindi, ad incidere sulle determinazioni commerciali del medesimo.

Il quantum debeatur

Il collegio veneto quantifica il pregiudizio patrimoniale in modo uniforme per tutti i consumatori coinvolti nel giudizio, fatto salvo un esiguo numero di eccezioni (riguardano coloro che hanno acquistato un veicolo usato o l’hanno rivenduto; per questi il ristoro sarà decurtato del 50%.).

La congruità della percentuale di liquidazione del danno nella misura del 15% (pari a circa € 3.000 per aderente)può essere apprezzata alla luce del fatto che l’effettivo livello di emissioni dei veicoli muniti del defeat device in condizioni di normale utilizzo rientrerebbe nello standard Euro 3 piuttosto che in quello Euro 5. In tale contesto, la percentuale scelta tiene conto del fatto che nel passaggio dallo standard Euro 3 allo standard Euro 5 il prezzo dei veicoli ha subito un incremento medio del 30%, e che nessun consumatore sarebbe disponibile a pagare la stessa somma richiesta per un veicolo Euro 5 sapendo di acquistare un veicolo non adeguato allo standard tecnologico del momento.

Riconosce, inoltre, il danno morale da reato di frode in commercio che quantifica in euro 300.

La decisione si chiude con la condanna (non richiesta da parte attrice) della casa automobilistica al risarcimento del danno per responsabilità aggravata. Ovvero per aver attuato una strategia difensiva dilatoria, strumentale e defatigatoria; imponendo alla parte attrice (e non solo) di soggiacere al protrarsi della pendenza del giudizio, la cui durata è imputabile alla ferma e aggressiva difesa delle convenute nella contestazione, pur dinanzi all’evidenza dell’addebito.

La Corte lagunare sanziona la condotta della convenuta che pur avendo:

i) ufficialmente e pubblicamente riconosciuto nel merito la illiceità del software;

ii) subito il provvedimento sanzionatorio dell’AGCM;

iii) mostrato la disponibilità a concludere ben più onerose transazioni sulle due sponde dell’Atlantico, decideva di resistere spregiudicatamente al giudizio sollevando un “ripetitivo e talvolta disarticolante, numero di eccezioni … rispetto alle adesioni” nonostante la loro palese inammissibilità, per orientamento consolidato della giurisprudenza, sì da rendere necessario un impegno oltre modo gravoso (ed evitabile) da parte del tribunale e degli ausiliari.

In conclusione

Sebbene la questione sia tutt’altro che definita – considerate le dichiarazioni rese dalla VW che, dopo la pubblicazione della sentenza, ha paventato di ricorrere in appello – ciò non toglie che essa rappresenta un significativo passo in avanti in ordine alla risarcibilità del danno da pratica commerciale scorretta. Fissa dei punti fermi dai quali non si potrà prescindere nei futuri sviluppi della vicenda.

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