Laureata cum laude presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia, è Avvocato e Giornalista.
È autrice di numerose monografie giuridiche e di un contemporary romance, e collabora, anche come editorialista, con redazioni e su banche dati giuridiche (tra le altre Altalex, Quotidiano Giuridico, NTPLus, 24OreAvvocato, AlVolante, InSella, D… continua a leggere
È corretta la determinazione dell’assegno di mantenimento in favore della moglie, quantificata dalla Corte territoriale, che aveva accertato in capo al marito la qualità di socio unico, ed effettivo percettore degli utili, di due società. Per i giudici la distinta soggettività giuridica rispetto alla persona fisica che ne detiene le quote non ostacola l’imputazione degli utili non distribuiti delle società, a reddito del marito, tenuto conto che l’accertamento del giudice, non meramente formalistico, è preordinato a quantificare le somme effettivamente disponibili dalle parti. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. VI-1, ordinanza 24 febbraio 2022, n. 6103.
La riduzione dell’assegno in appello
La Corte di Appello aveva parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale in sede di separazione personale tra i coniugi, riducendo l’assegno da 2000,00 a 1000,00 euro mensili, dovuto dal marito a titolo di contributo al mantenimento della moglie, lasciando immutate le ulteriori statuizioni per i figli, verso i quali il padre doveva versare 2000,00 euro mensili.
La quantificazione dell’assegno di mantenimento
L’uomo, con ricorso di legittimità, ha lamentato che il giudice territoriale avrebbe deciso in modo del tutto arbitrario l’entità dell’assegno di mantenimento a carico del medesimo, in favore della moglie, tenendo conto anche dei redditi di terzi, quali gli utili non distribuiti di società di capitali di cui lo stesso ricorrente risulta socio.
Tuttavia, il motivo è stato dichiarato infondato, in quanto la sentenza è stata giudicata, in sede di legittimità, ampiamente e congruamente motivata, ben oltre il “minimo costituzionale”, essendo pervenuta a determinare l’assegno di separazione, comparando le condizioni economiche dei coniugi.
Nei fatti, l’uomo è risultato percepire oltre 137 mila euro, derivante dal reddito di due società agricole italiane di cui è socio, oltre gli utili non distribuiti di società di capitali rumene di cui il medesimo ricorrente è parimenti socio, mentre la moglie abita in una casa di proprietà, pagando il mutuo di 700,00 euro mensili, nonchè dispone, quale ricercatrice universitaria, di un reddito mensile di circa 1.600 euro.
La comparazione delle condizioni reddituali
Il ricorso, inoltre, è risultato inammissibile poiché teso a censurare la valutazione di merito della Corte di Appello, la quale, a dir dei giudici ermellini, non ha rinviato acriticamente alla decisione del Tribunale. Lo stesso collegio territoriale era pervenuto al convincimento di stabilire una somma di 1.
La valutazione delle prove sul tenore di vita
Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli articoli 115 e 166 del codice di rito civile, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
Per l’effetto, al giudice di legittimità è interdetto riesaminare gli atti ed i documenti in base ai quali la Corte territoriale ha stabilito il tenore di vita endofamiliare, trattandosi di valutazione di merito incensurabile, una volta escluso il vizio di motivazione.
L’accertamento del reddito
La Corte territoriale aveva accertato in capo al marito la qualità di socio unico, ed effettivo percettore degli utili, di due società rumene.
Per i giudici la distinta soggettività giuridica rispetto alla persona fisica che ne detiene le quote non ostacola l’imputazione degli utili non distribuiti delle società, a reddito del marito, tenuto conto che l’accertamento del giudice, non meramente formalistico, è preordinato a quantificare le somme effettivamente disponibili dalle parti.