Riapertura dei concordati e degli accordi di ristrutturazione: le proroghe eccezionali del DL 23/2020

Il decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, messo in soffitta per un altro anno il Codice della crisi e bloccati i fallimenti per tre mesi, torna a puntare su una ripresa di vitalità dei concordati e degli accordi di ristrutturazione dei debiti in scadenza.

L’intervento d’urgenza sui concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione si sviluppa, all’art. 9 del decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, in una molteplicità di direzioni. Nel contesto del generale differimento al 1° settembre 2021 del codice della crisi (art. 5), dell’improcedibilità dal 9 marzo al 30 giugno 2020 delle istruttorie prefallimentari e delle dichiarazioni dello stato d’insolvenza di imprese sottoponibili a liquidazioni coatte amministrative e ad amministrazioni straordinarie (diverse da quelle della cd. legge Marzano del decreto legge n. 347 del 2003, art. 10), appare chiaro che proprio a questi due istituti il legislatore affida le relazioni concorsuali critiche del periodo transitorio. L’investimento, formulato come una norma speciale, ha in realtà l’ambizione di un rilancio di ogni ipotesi di ristrutturazione quale proveniente dal debitore: cui si toglie la preoccupazione dettata dall’incombenza di procedimenti per la dichiarazione di fallimento (all’inizio della vicenda, salvo vi sia richiesta del P.M. con istanza di misure conservative o cautelari, ex art. 10 comma 2) e di eventi risolutivi (nella cruciale fase dell’esecuzione, comma 1 art. 9). In realtà, la prospettiva fallimentare è scongiurata dal notorio indirizzo di coordinamento che, al di là dei casi di abuso della domanda, organizza la decisione sul concordato preliminare a quella sulle richieste di fallimento (nel periodo 9 marzo-30 giugno 2020 assai residualmente procedibili).

Ne è sorta dunque una vera istituzione del diritto transitorio concordatario (nonostante qualche dubbio, stante l’assenza in rubrica della qualificazione di “temporaneità”, invece scritta nell’art. 10, in materia fallimentare), in parte diversa dalle figure che connotano la sorte dei comuni procedimenti civili nel periodo cuscinetto (che va dal 9 marzo al 30 giugno 2020) ed infatti le disposizioni trovano applicazione dilatata rispetto allo stesso blocco sopramenzionato. In questo senso, l’emergenza costituisce solo il contesto iniziale, proiettando le sue nuove regole ad un periodo in cui altre eccezionalità e sospensioni o non sono previste o sono graduate. Il decreto, al comma 1 dell’art. 9, ha subito inteso evitare dunque che l’inesecuzione dei piani di concordato e l’inadempimento degli accordi di ristrutturazione già omologati e con scadenza dal 23 febbraio 2020 e sino alla fine di tutto il 2021 determinino esiti risolutori. In effetti, agendo sui “termini”, l’impatto è senz’altro diretto sull’art. 186 l.fall. che invero collega il ricorso per risoluzione del concordato preventivo ad un inadempimento, di non scarsa importanza, a valenza oggettiva (cioè prescindendo dall’imputabilità con colpa) e con domanda proposta entro un anno appunto dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento del concordato stesso. Ora è la legge a procastinare il termine, di sei mesi e per tutti, neutralizzando la stessa nozione di inadempimento, la cui scadenza si sposta in avanti per debitore e creditori. Ovviamente la perentorietà del nuovo comando, sovraimponendosi rispetto alla proposta originaria e alla stessa manifestazione di voto dei creditori, determina un mutamento ex lege anche delle condizioni recepite nel decreto di omologazione dell’art. 180 l.fall., qualunque forma il concordato abbia assunto o, meglio, anche se confezionato con la cd. variante della continuità aziendale dell’art. 186 bis l.fall. Si può aggiungere che la disposizione si applica anche alle procedure con omologazioni cui il tribunale abbia provveduto e senza che però i decreti siano divenuti definitivi, perché al 23 febbraio 2020 era in corso il termine per l’impugnazione ovvero un’impugnazione era stata promossa ed era pendente il giudizio: la ratio dello spostamento mira a differire le scadenze in capo al debitore e poiché esse decorrono – normalmente - sin dall’omologazione, la fruizione dei cennati sei mesi già sembrerebbe operativa. L’incertezza, semmai, si correla alla perdurante sospensione di tutti i termini per impugnare, per come disposta dall’art. 83 comma 2 decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, che a sua volta è stato dilatato riferendosi ora alla nuova scadenza dell’11 maggio 2020 (e non più del 15 aprile 2020), ai sensi dell’art. 36 del medesimo decreto legge n. 23 del 2020, che non ha mutato il termine iniziale del 9 marzo 2020.

Circa gli accordi di ristrutturazioni dei debiti dell’art. 182 bis l.fall., la unificazione della previsione di proroga semestrale, nell’evidente proposito di assicurare la protrazione delle scadenze a strumenti regolatori sempre più gemellati sotto il profilo concorsuale, interroga la mancanza di un istituto nominato, secondo la disciplina dell’art. 186 l.fall., che regoli l’inadempimento, con l’effetto, se accertato, della risoluzione. Manca cioè la sicura previsione di una azione diretta ad una pronuncia che sciolga l’accordo tra gli aderenti (in blocco e tutti), circoscritta a casi tipizzati e soggetta a limiti temporali. Il regno del codice civile ovvero una figura di analogia con quanto previsto per i concordati, così declinando rispettive assimilazioni più ai contratti ovvero più alle procedure concorsuali, saranno i terreni di eventuale disputa dei prossimi conflitti in tema. Va solo qui segnalato che, a regime invariato, la giurisprudenza di legittimità non ha tuttavia erto barriere alla procedibilità delle istanze di fallimento verso debitori insolventi e inadempienti rispetto ai citati accordi di ristrutturazione dei debiti. Ciò che cambia, nel frattempo e fino alla fine del 2021, è la scadenza, destinata ad operare indipendentemente da un inizio di inadempimento e, altrettanto ovviamente, non sovrapponibile al debitore che non se ne voglia avvalere.

Quanto ai creditori estranei all’accordo, il riscadenziamento sembrerebbe l’effetto della medesima volontà legislativa, dunque agendo sui 120 giorni delle lettere a) e b) del primo comma dell’art. 182 bis, divenendo i pagamenti sia effettuabili entro gli ulteriori sei mesi, sia ‘assicurabili’ in tal senso ove il decreto di omologazione, benché emesso, fosse soggetto ad impugnazione per disputa su tale punto, rispettivamente attestato dal professionista nominato dal debitore ex art. 67 comma 3 lett. d) l.fall. ed invece contestato dall’impugnante.

Questa prima parte dell’intervento, per l’assenza di eccezioni soggettive e l’ampiezza temporale, esprime un esempio di diritto dell’economia sbilanciato, ove fornisce certezza giuridica rinunciando ad ogni rappresentazione anche solo dubitabile della crisi da COVID-19, che pure dovrebbe esserne la matrice economica giustificativa. Va riconosciuto che la preclusione, per come congegnata, non intacca le fondamenta costitutive della risoluzione, solo impedendone la pronuncia e senza dubbio evita di affrontare il tema della causa dell’inadempimento. Il legislatore, evitando di acquisire la relazione tra pandemia e omesso rispetto delle scadenze e presumendola però in modo indifferenziato (dunque anche per imprese, agli estremi, già decotte per altri fattori o con produzione rilanciata per effetto proprio della crisi) e assoluto, espone i creditori, e con essi la vasta massa dei soggetti interessati all’evoluzione concordataria, ad un sacrificio senza corrispettivo, perché lascia ad una determinazione unilaterale insindacabile l’adozione del beneficio, in difetto di apparente contropartita economica o congegni di controllo.

Se comprensibilmente, in una logica-manifesto di rassicurazione generale sul debito, la norma esordisce dalla fine dei concordati e degli accordi di ristrutturazione, le disposizioni successive - dal secondo comma fino al quinto - rovesciano la regola della improcedibilità di cui all’art. 10 (dettata per le domande di fallimento): esse affermano de facto, in una fitta indicazione di facoltà esercitabili dal debitore, l’opposto principio della procedibilità. In questo senso, la disciplina è speciale rispetto alle disposizioni sul funzionamento della giustizia (anche civile) di cui all’art. 83 decreto legge n. 18 del 2020, poiché ad ogni iniziativa permessa al debitore corrisponderà un’attività giurisdizionale, con l’espletamento di udienze, camere di consiglio e atti istruttori potenzialmente senza limiti, nemmeno di coinvolgimento di terzi soggetti (almeno cancelleria, altre pubbliche amministrazioni, Conservatore del registro delle Imprese, Guardia di Finanza, professionisti) e per i quali soccorrono le forme organizzative altrove fissate dal legislatore dell’urgenza. Si può cioè ipotizzare che le già citate esigenze di certezza giuridica, questa volta intermediate da provvedimenti giudiziali, suggeriranno la disattivazione dei meccanismi di inoperatività degli uffici giudiziari previsti per il periodo, con un ricorso più elevato ad una prestazione giudiziale che, interrogando la categoria dell’urgenza (secondo il filtro dell’art. 83 comma 3 d.l. n. 18 del 2020), dovrà cimentarsi sulle inedite domande dei debitori che si vogliano avvalere dei nuovi istituti.

Fornendo una ulteriore opportunità, ma questa volta anteriore all’omologazione, i quattro commi successivi dell’art. 9 d.l. n. 23 ancora coinvolgono nel medesimo contesto sia i concordati preventivi che gli accordi di ristrutturazione dei debiti, accomunati dall’essere pendenti al 23 febbraio 2020 e, per i concordati, senza che i creditori abbiano rifiutato la proposta così impedendo il conseguimento delle maggioranze dell’art. 177 l.fall. Il beneficio rettificativo è a disposizione del debitore quando la pendenza coglie il procedimento in una qualsiasi sua fase, cioè, sembrerebbe, prima dell’adunanza (senza ancora la votazione), dopo la adunanza (ma con votazione approvativa), nelle more tra votazione approvativa (inclusa l’attesa dei 20 giorni di cui all’art. 178 ultimo comma l.fall.) ed inizio del giudizio di omologazione, nel corso del giudizio di omologazione e purché, non al 23 febbraio 2020 ma in fatto prima che la facoltà rettificativa sia esercitata, l’udienza di omologazione non sia stata tenuta (“sino all’udienza fissata per l’omologa”, la dizione è identica per i commi 2 e 3). Si può discutere se la istanza, nella quale si struttura l’esercizio dell’iniziativa, possa essere presentata all’udienza o prima del suo inizio, ma l’evidente favor per l’istituto suggerisce la più ampia compatibilità: “sino all’udienza fissata per l’omologa”, pertanto fino a che non sia esaurita quella dell’art. 180, commi 1 e 2 l.fall., nella quale il giudice, permettendone l’esercizio, potrà istruire gli adempimenti secondo un ordine logico e però senza l’incoraggiamento di abusi, specie laddove il contraddittorio sia assicurato proprio nel periodo altrimenti consegnato al rinvio d’ufficio delle udienze fissate (cioè sino all’11 maggio 2020), con una graduazione maggiore di concentrazione organizzativa ove le udienze siano celebrate da remoto o in modalità cartolare (dal 12 maggio al 30 giugno).

In realtà l’irruzione di una norma-manifesto che allarga concordati e accordi dilatando gli spazi di manovra dei debitori dovrà conciliarsi con disposizioni a valenza pubblicistica indiscutibile ove esse, con l’art. 83 comma 3 decreto legge n. 18 del 2020, programmano in modo selettivo le udienze. Si pone cioè l’interrogativo se l’indubbia procedibilità dei concordati e accordi che si vogliano mutare o riscadenziare, come disinvoltamente immessa nell’ordinamento, imponga una nuova eccezione all’eccezione del citato art. 83 comma 3 decreto legge n. 18 del 2020: tale norma, ripetuta dall’art. 2 comma 2 lett. g) n. 1) del decreto legge (poi venuto meno) 8 marzo 2020, n. 11 e così sostituita, prescrive che rinvio di udienza e sospensioni non operano per specifiche categorie di affari civili, cui si affiancano quelli dichiarati urgenti. La sua eccezionalità, pacifica per il solo interesse che mira a tutelare, fa sì che ora, se il debitore si può rivolgere al tribunale per cambiare il piano o l’accordo ovvero fruire di nuovi termini e, lungi da un automatismo, il richiesto mutamento necessita di un provvedimento, le alternative sono a prima vista due: a) l’istanza condiziona il procedimento, che però in tanto reagirà sull’attività giurisdizionale in quanto essa, in conformità al solo e prevalente art. 83 comma 3 d.l. n. 18 del 2020, sia riconosciuta urgente, cioè servizio che l’Ufficio somministra alle parti, a quelle condizioni, anche fino all’11 maggio 2020; b) la procedibilità dell’istanza, nel concordato, attrae un’analoga regola di sblocco immediato anche per l’attività giurisdizionale, presidiata nelle forme da linee guida dei capi degli uffici, modalità celebrative da remoto o in modo figurativo, ma – già ed anche nel periodo fino all’11 maggio 2020 – da tenersi comunque, oltre che, ovviamente, nel periodo 12 maggio – 30 giugno 2020.

Oltre dunque la fruizione oggettiva (e pur se rinunciabile) della proroga semestrale dell’adempimento post omologazione (comma 1, art. 9), nella fase di non ancora raggiunta omologazione il debitore può, come prima misura, riprogettare il concordato o l’accordo di ristrutturazione (comma 2, art. 9). L’iniziativa, come anticipato, si concreta in una istanza al tribunale per la concessione di un termine, non superiore a novanta giorni, per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato o di un nuovo accordo di ristrutturazione. La norma in apparenza è costruita come esercizio di un diritto potestativo del debitore, non ponendo essa alcun requisito di supporto. Ad essa dovrebbe solo corrispondere il provvedimento del tribunale, con l’importante specificazione che il termine per l’adempimento decorre appunto dalla data del decreto con cui il giudice assegna il termine, non prorogabile (circostanza che sembra darsi carico della non immediata organizzazione del collegio decidente e del deposito in tribunale della sua pronuncia). Proprio la mancanza di automatismo suggerisce tuttavia di dare una giustificazione all’attività provvedimentale che non può certo ridursi né ad una presa d’atto dell’istanza (avendo la legge scelto la pronuncia di un giudice e non l’effetto legale automatico della istanza stessa), né ad un potere di graduazione circoscritto alla durata interna al limite di 90 giorni (che di necessità anzi implica una qualche forma d’istruzione, per poter motivare il suo contenuto). Il richiamo, più o meno testuale, al termine di cui al vigente art. 161 comma 6 l.fall., per parte sua, permette l’utilizzo della sedimentazione interpretativa che si è formata attorno al termine dato per il concordato prenotativo: tanto maggiore quanto più è intensa e convincente l’illustrazione rappresentativa, da parte del debitore, dell’impiego che intende fare della dilazione temporale. Appare così inevitabile la rappresentazione, almeno per sommi capi, del nuovo piano o accordo. La norma, d’altronde, si propone di intercettare il mutamento degli scenari di mercato che ciascuna impresa incontra nell’emergenza COVID-19, potendo allora la variazione del piano consentire l’opportuno adattamento ad una nozione di fattibilità in senso lato presuntivamente compromessa o mutata. Ma è anche vero che, è stato osservato, interi settori hanno subito un’accelerazione produttiva ed un conseguente impulso di continuità aziendale proprio per l’alterazione e gli squilibri dei bisogni e delle conseguenti merci (e servizi) richiesti nel periodo.

Il riferimento ad una facoltà esercitabile “nei procedimenti per l’omologazione” non andrebbe, per quanto premesso, inteso in senso stretto, quale opportunità riservata alla sola parte che abbia valicato le fasi dell’ammissione e quella del voto. La conclusione potrebbe essere negata guardando alla progressione a ritroso che, a partire dal comma 1, l’art. 9 d.l. n. 23 del 2020 ha prescelto, muovendo dalle omologazioni avvenute e, via via, scendendo fino alla fase iniziale della concessione del termine dei commi 4 e 5, quasi che ad ognuna di esse corrisponda una sola facoltà: rispettivamente proroga della scadenza adempitiva, mutamento di piano o accordo, nuovo termine per depositare piano o accordo. E in effetti non va nemmeno escluso che, concependo una legislazione di soccorso, si siano intercettati i bisogni più connotativi delle difficoltà di ciascuna fase. Ma non può essere negato, come visto, che, da un lato, l’incidenza emergenziale determina necessità di riprogettazione non tipizzabili e, dall’altro, le eventuali rigidità di accoppiamento fase-facoltà non si attaglierebbe agli interstizi problematici tra una fase e l’altra, crescendo la difficoltà di combinazione. Ad una più prudente lettura aperta del comma 2, si affianca tuttavia la consapevolezza che, in quanto piano e accordo, per loro natura, implichino la ripetizione di un atto già compiuto, e che si voglia mutare, in tanto si darà vita ad una regressione di fase. Dalla quale consegue anche la ripetizione degli stessi oneri di corredo: come l’aggiornamento della relazione di cui all’art. 161 comma 2 lett. b) l.fall. e la relazione del professionista titolato di cui al comma 3 art. cit. E parimenti il rifacimento della votazione. Si tratta di conclusione cui può indurre, analizzando la Relazione, anche il labile, ma univoco, doppio indizio lessicale, allorché l’istituto modificativo in commento è illustrato quanto al ”termine per elaborare ex novo una proposta ... o un accordo”, mentre quello successivo è presentato come “soluzione più snella”.

La seconda misura è prevista appunto, quale opzione meno complessa, nel comma 3 dell’art. 9 ed importa, ancora come frutto di un’iniziativa unilaterale del debitore, la più semplice alterazione dei soli termini di adempimento del piano o dell’accordo, intesi come scadenze. Qui la lettera della norma, ripetendo che l’istanza non può oltrepassare l’udienza fissata per l’omologazione, indica anche la veste che essa dovrà assumere e le ragioni del suo contenuto: apparterrà ad una “memoria”; dovrà essere corredata da una “documentazione” che comprovi la necessità della modificazione dei termini; il limite massimo è simmetrico a quello previsto ex lege dal comma 1 per i concordati e accordi omologati, cioè 6 mesi rispetto alle scadenze d’origine. L’impiego del termine ‘memoria’ sembrerebbe presupporre che il procedimento di omologazione in senso stretto, ai sensi dell’art. 180 l.fall., sia stato iniziato, configurandosi l’atto come essenzialmente rivolto al giudice e destinato a qualificare la parte nella sua veste anche processuale. In una visione meno limitante, potrebbe però attribuirsi valore più decisivo alla facoltà in sé di ottenere la autorizzazione del tribunale a mutare le scadenze, così permettendosi al debitore di formulare tale strategia più anticipatamente, ma forse la preoccupazione appare eccessiva, a fronte delle possibilità di aggiornare la proposta in seno alla adunanza dei creditori. In realtà, mentre per il comma 2 lo schema è istanza-provvedimento concessivo del termine, nel comma 3 non manca un provvedimento, per il quale però il legislatore rimanda al decreto finale di omologazione, nel quale il tribunale dà atto delle nuove scadenze. E dunque c’è da chiedersi se si sia in presenza di una scontata remissività ovvero sia ripetuto, con altre forme, lo stesso schema domanda-pronuncia di cui al comma precedente.

Ove dunque la modifica del termine di adempimento (cioè la sua scelta, quale atto del debitore) sopraggiunga a giudizio di omologazione intrapreso e, di conseguenza, a votazione maggioritaria espressa ex art. 177 l.fall. o accordo di maggioranza degli aderenti formatosi ex art. 182 bis l.fall., il tribunale, con l’omologazione e riscontrando la persistenza dei presupposti, dà atto delle nuove scadenze, dopo aver sentito il commissario giudiziale, quanto al concordato. Non pare invece necessario un aggiornato ulteriore corredo documentale di parte, come visto per il mutamento di piano o accordo, posto il dettaglio con cui gli oneri descritti sono stati indicati al comma 3: il che esclude anche la stretta necessità di una nuova votazione. Se la legge impone comunque una documentazione a sostegno dell’istanza sembra allora ragionevole ipotizzare che anche il tribunale abbia un ventaglio di possibilità: dall’accoglimento pieno di essa, alla concessione di un termine inferiore al richiesto, al suo rigetto. Da notare che, a differenza degli incisi di cui ai commi 1 e 2, il comma 3 non sembra circoscrivere la concessione di siffatta facoltà ai debitori con concordati o accordi in corso di omologazione ad una certa data connessa all’emergenza COVID-19. Ma una lettura consecutiva del comma 3 rispetto al comma 2, valorizzando la scelta meno drastica di “unicamente” sui “termini di adempimento” induce a dare per implicito – con ogni cautela, data l’obiettiva genericità del testo - che anche il comma 3 si riferisca al medesimo debitore del comma 2, cioè a quello dei concordati o accordi pendenti al 23 febbraio 2020. Diversamente, la novità sarebbe dirompente e probabilmente il legislatore avrebbe dovuto usare una tecnica d’intervento in modifica diretta degli artt. 161 e 182 bis l.fall., non bastando l’omesso cenno alla “temporaneità” delle disposizioni, come espresso nella sola rubrica dell’art. 10, per la cugina “materia” fallimentare.

Sulla base del criterio soggettivo unitario appena proposto, va condotto anche l’esame della terza misura, disciplinata ai commi 4 e 5 dell’art. 9 e concernente una variante di automatic stay. Si fa riferimento in primo luogo al termine nel concordato con riserva dell’art. 161 comma 6 l.fall.: esso è dilatabile fino ad altri 90 giorni in favore del debitore che pur abbia già ottenuto la concessione ordinaria di esso, anche se prorogato e ne intenda ottenere l’ulteriore protrazione, ora possibile se si presenta apposita istanza, purchè prima della scadenza (del termine ottenuto) e senza preclusione ove sia pendente un ricorso di fallimento. Per questa ipotesi, anch’essa scissa da un riferimento temporale di pendenza ad una certa data (come il caso del comma 3), ma valutabile con il medesimo criterio, l’istanza va motivata con specifico riguardo alla necessità di fruire del maggior tempo, per depositare proposta e piano, indicando i fatti sopravvenuti alla base di essa (e dunque la impossibilità o grave non convenienza economica ad adempiere al termine originario), in correlazione all’emergenza epidemiologica COVID-19. Il tribunale procede ad istruttoria, acquisendo il parere del commissario giudiziale, quando nominato e accerta che l’istanza sia fondata su “concreti e giustificati motivi”. La proroga concessa, diretta ad uno specifico adempimento, sembra peraltro combinarsi con l’effetto pratico che, nel periodo, si è determinato con la sospensione dei termini di cui all’art. 83 comma 2 d.l. n. 23 del 2020, esteso nello stesso decreto legge n. 23, all’art. 36, fino all’11 maggio 2020. Il che può produrre la partenza del nuovo termine eccezionalmente concesso all’esaurimento del precedente, quello generale, a sua volta ex lege sospeso.

Anche per effetto dell’apertura di questa finestra permangono tuttavia controlli e adempimenti, con il richiamo dell’art. 161 commi 7 e 8 l.fall., da applicare, inclusa la reversione del termine ovvero anche l’inammissibilità del concordato in caso di violazione degli obblighi. A differenza degli atti inclusi nella medesima nozione processuale e di cui alla prima parte del comma, quelli sostanziali concernenti l’amministrazione, anche straordinaria, dell’impresa e i corrispondenti controlli dunque non si sospendono, né sono differiti d’ufficio o differibili a domanda. Nasce allora l’interrogativo della sorte del debitore allorchè, avendo ricevuto dal tribunale la prescrizione di assolvere obblighi informativi periodici sulla gestione e le attività compiute (primo periodo comma 8 art. 161 l.fall.) e dalla stessa legge l’onere del deposito mensile di relazione sulla situazione finanziaria (da pubblicare nel registro delle imprese, secondo periodo art. cit. ), violi di fatto le scadenze e gli adempimenti. Un mutamento tipologico, con disinvolto passaggio a procedurale, di tali atti, risolverebbe il problema nell’immediato, ma con traccia condizionante l’avvenire, dovendosi immaginare – a regime – la sospensione feriale per ognuno di essi e tutte le procedure. E d’altro canto, la più generale previsione che sospende fino all’11 maggio 2020 la stessa adozione dei provvedimenti giudiziari, oltre al deposito della motivazione (art. 83 comma 2 d.l. n. 23 del 2020), con la stessa improcedibilità fino al 30 giugno 2020 delle istanze di fallimento ex art. 10 (e salva la richiesta del P.M. con istanza cautelare o conservativa) evidenziano la distonia di una violazione oggettiva cui non segua una risposta del tribunale, investito del controllo, attività da svolgere d’ufficio e, per lo più, non implicante, se non per la chiusura di fase, una apposita udienza. Probabilmente, lo scenario conseguente alla constatata violazione, cui il debitore non affianchi l’esercizio di alcuna delle facoltà di cui all’art. 9 commi 2 o 3, può far entrare il procedimento nella fase del giudizio di inammissibilità, una volta selezionata con rigore la inerenza delle omissioni con la perdita di controllo da parte dell’imprenditore di una tenuta regolare e continua di gestione, non rimediata da atti anche solo equipollenti compatibili con l’esercizio allo stato effettivamente consentito dell’attività d’impresa (nel periodo, come noto, più volte inciso restrittivamente ai sensi, in particolare, della decretazione con DPCM 22 marzo 2020 e del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19).

Identica istanza può essere svolta, ai sensi del comma 5 dell’art. 9, dal debitore che ha scelto la via dell’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis l.fall., ove abbia ottenuto il termine del comma 7 (par di capire, quello del secondo periodo). Così, quando sia in procinto di arrivare la scadenza del termine già assegnato dal giudice per il deposito dell’accordo (non viene menzionata anche la relazione del professionista), senza più possibilità di proroghe, il debitore, alle stesse condizioni appena viste per quello in concordato (dunque, prima della scadenza, motivando la istanza con i fatti sopravvenuti e la causa efficiente dell’emergenza), può domandare la concessione della proroga fino ad altri 90 giorni e per lo stesso adempimento. Su di essa il tribunale provvede in camera di consiglio, esonerato dagli adempimenti del primo periodo dell’art. 182 bis l.fall., concedendo la proroga per il deposito se ne ravvisa la strumentalità utile al raggiungimento dell’accordo con le maggioranze, dando atto che sussistono i presupposti dell’art. 182 bis primo comma l.fall.

Già si è detto della relazione sovraordinata tra concordati e accordi di ristrutturazione, da un lato e fallimenti, dall’altro, secondo le nuove regole della improcedibilità di cui all’art. 10, applicabile ai secondi, oltre che alle dichiarazioni d’insolvenza presupposte dall’apertura delle liquidazioni coatte amministrative e delle amministrazioni straordinarie del d.lgs. n. 270 del 1999. L’esclusione concerne solo le grandi imprese assoggettate alla amministrazione straordinaria speciale del decreto legge n. 347 del 2003 (una consapevolezza indicata, per vero, nella Relazione), mentre desta perplessità l’omessa eccettuazione dell’ipotesi di cui al comma 1bis dell’art. 2 del cit. d.lgs. n. 270, che estende l’istituto alle imprese confiscate ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 (il richiamo è oramai al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ai sensi del suo art. 116, comma 2, con effetto dal 28 dicembre 2012), alle condizioni e nelle forme previste dal decreto, anche in mancanza dei requisiti dimensionali di cui alle lettere a) e b) del comma 1. Si tratta di una disattenzione che sottrae coerenza al progetto di efficientamento delle aziende già riconducibili alla criminalità organizzata mafiosa posto che, se per esse non è previsto l’accesso alla cd. Legge Prodi-bis, mancherebbe una gestione commissariale e dunque procedurale a guida o almeno controllo pubblicistico più nettamente orientata agli interessi dei creditori. Mentre rimarrebbe possibile accedere – ma non è chiaro con quale prospettiva di sicuro successo e con quali capitali, nonostante la previsione dell’art. 63, comma 8bis, d.lgs. n. 159 del 2011 - al concordato o all’accordo di ristrutturazione, nei termini agevolati sopra visti e però, nell’ipotesi di insuccesso di piano o accordo ovvero del diniego di omologazione, si attuerebbe oggettivamente la regola dell’improcedibilità, nonostante le istanze di fallimento o di dichiarazione di insolvenza, di cui all’art. 10 d.l. n. 23 del 2020, almeno per quelle depositate nel periodo 9 marzo-30 giugno 2020. A meno che l’iniziativa provenga dal P.M. e sempre che tale organo abbia chiesto le misure cautelari o conservative di cui all’art. 15 comma 8 l.fall., norma che, sia perché successiva sia perchè speciale, sembrerebbe imporsi rispetto alla comune iniziativa prevista dal comma 1 dell’art. 63 d.lgs. cit.

Lo stesso P.M., per conseguire la dichiarazione del fallimento dell’imprenditore i cui beni aziendali siano sottoposti al solo sequestro, ai sensi del d.lgs. n. 159 del 2011, dovrebbe parimenti svolgere la citata istanza, anche se non è chiara, in tal caso, la convivenza operativa tra una misura cautelare o conservativa nell’interesse dei creditori, una volta concessa e la misura di prevenzione già in atto, per quanto avente altra finalità ma in fatto estrinsecata in attività di amministrazione giudiziaria omologa. In difetto, il tribunale sembra tenuto – in questo come nei precedenti casi - alla dichiarazione della improcedibilità, per quelle del periodo e con qualche dubbio, per quelle anteriori e non ancora decise al 9 marzo 2020, data di prima vigenza del decreto legge n. 23.

Riferimenti normativi:

Legge fallimentare

Contenuto riservato agli abbonati
Abbonati a Il Quotidiano Giuridico
1 anno € 118,90 € 9,90 al mese
Abbonati a Il Quotidiano Giuridico
Primi 3 mesi € 19,90 Poi € 35,90 ogni 3 mesi
Sei già abbonato ? Accedi

Potrebbe interessarti

Novità editoriali

Vedi Tutti
Ricorso penale per cassazione
Risparmi 12% € 65,00
€ 57,00
Commentario breve al Codice penale
Risparmi 5% € 250,00
€ 237,50
L'amministratore di sostegno
Risparmi 5% € 80,00
€ 76,00
Crisi d'impresa e insolvenza 2024
Risparmi 5% € 135,00
€ 128,25
L'onere della prova
€ 128,00
La responsabilità in medicina
Risparmi 5% € 110,00
€ 104,50
Commentario breve al Codice di Procedura civile
Risparmi 5% € 300,00
€ 285,00
Cybercrime
Risparmi 5% € 130,00
€ 123,50
Commentario breve alle leggi su crisi di impresa e insolvenza
Risparmi 5% € 210,00
€ 199,50
Manuale dell'esecuzione forzata
Risparmi 5% € 140,00
€ 133,00
Codice di procedura civile e disposizioni di attuazione
Risparmi 5% € 25,00
€ 23,75
La riforma del codice degli appalti
Risparmi 5% € 50,00
€ 47,50
Massimario delle operazioni societarie e degli enti non profit
Risparmi 5% € 170,00
€ 161,50
Ricorso civile per cassazione
Risparmi 5% € 59,00
€ 56,05
Codice di procedura penale commentato
Risparmi 5% € 320,00
€ 304,00
Gli organi nel vigente codice della crisi d'impresa
Risparmi 5% € 80,00
€ 76,00
Le successioni per causa di morte
Risparmi 5% € 200,00
€ 190,00