La mancata notifica dell’accertamento al socio rende illegittima la cartella di pagamento
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La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 15378/2020 ha ribadito un precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale è illegittima la cartella di pagamento notificata al socio se costui non abbia in precedenza ricevuto l’avviso di accertamento. Tutto ciò è motivato dal fatto che la preventiva notifica dell’avviso di accertamento permette al contribuente di avere la piena conoscenza delle ragioni dell’Amministrazione finanziaria, consentendogli di contestare a priori tale pretesa impositiva.
Orientamenti giurisprudenziali | |
Conformi | |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Un contribuente, amministratore e poi liquidatore di una S.r.l., impugna la cartella di pagamento emessa ai fini IVA, IRAP ed IRES per omessa notifica dell’avviso di accertamento dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che rigetta il ricorso.
Parimenti la Commissione Tributaria Regionale conferma la decisione di prime cure ritenendo dapprima che il contribuente fosse responsabile ex art. 36 del D.P.R. 29/09/1973, n. 602 ed ex art. 2495 c.c. per i debiti di natura tributaria contratti in precedenza dalla società di cui era socio, legale rappresentante e poi liquidatore. Inoltre, il giudice di appello ha ritenuto legittima la cartella esattoriale pur in mancanza di una preventiva notifica, al contribuente, di un avviso di accertamento che illustrasse, oltre ai presupposti fattuali e di diritto della pretesa, anche le ragioni in base a cui l’Agenzia delle Entrate ritenesse responsabile dei debiti tributari sociali anche il ricorrente in qualità di socio e liquidatore.
Con l’ordinanza n. 15378 del 2020, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione, cassando la decisione impugnata, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente decidendo nel merito e condanna l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia Nord S.p.A., in solido, al pagamento delle spese processuali.
Il Collegio osserva preliminarmente che la responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci di società in liquidazione, in presenza dell’integrazione delle distinte fattispecie previste dall’art. 36 del D.P.R. 29/09/1973, n. 602, per l’ipotesi di mancato pagamento delle imposte sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati, è responsabilità propria ex lege (per gli organi, in base agli artt. 1176 e 1218 c.c., e per i soci di natura sussidiaria), avente natura civilistica e non tributaria, non ponendo la norma alcuna successione o coobbligazione dei debiti tributari a carico di tali soggetti, nemmeno allorché la società sia cancellata dal Registro delle Imprese (Cass. civ. Sez. VI Ord., 25 giugno 2019, n. 17020).
Sempre il giudice di legittimità rileva che in relazione ai crediti per l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, i cui presupposti si siano verificati a carico della società, l’amministrazione finanziaria, in base all’art. 36 del D.P.R. 29/09/1973, n. 602, possa esercitare l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore qualora egli abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al loro pagamento, con azione esercitabile alla duplice condizione che: (i) i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che (ii) sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima (Cass. Civ., Sez. V, 17 giugno 2002, n. 8685).
Inoltre, a giudizio della Suprema Corte, quello verso il liquidatore e l’amministratore è credito dell’amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma più che altro civilistico, il quale trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità della stessa ancorché detta responsabilità debba essere accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificare ai sensi del D.P.R. 29/09/1973, n. 600, art. 60. Tale responsabilità rientra nell’alveo degli articoli 1176 e 1218 c.c., con onere per l’Amministrazione finanziaria di provare d’avere iscritti i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori, dei quali poter pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore (Cass. Civ. Sez. V Sent., 23 aprile 2008, n. 10508).
Tutto ciò vale anche con riguardo alla posizione del socio, in qualità di contribuente. Infatti in base all’art. 36, comma 3, del D.P.R. 29/09/1973, n. 602, è previsto che i soci, i quali abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salve le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile.
Il Collegio rileva che nel caso in esame manca quell’atto motivato che accerti la responsabilità dell’amministratore e successivamente del liquidatore, nonché del socio, in relazione agli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società e della distrazione di tali attività a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute ed ogni eventuale integrazione avvenuta sul punto in corso di causa trascura che nel giudizio tributario, l’oggetto del dibattito processuale è delimitato da un lato dalle ragioni di fatto e di diritto esposte dall’Ufficio nell’atto impositivo impugnato e dall’altro dagli specifici e correlati motivi d’impugnazione dedotti dal contribuente nel ricorso introduttivo.
Della peculiare responsabilità di natura civilistica e non strettamente tributaria ex art. 36 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, applicabile alle sole imposte sui redditi e non all’imposizione sul valore aggiunto o sulle attività produttive è pacifico che non vi fosse cenno nell’atto impositivo propedeutico alla cartella impugnata, di contro l’accertamento delle circostanze fondanti la responsabilità ex art. 36 del D.P.R. 29/09/1973, n. 602 comporta un ampliamento del thema decidendum e del thema probandum non consentito (Cass. civ., Sez. V, Sent., 11 ottobre 2015, n. 19611).
Già in passato, con riguardo all’INVIM, la Suprema Corte si era pronunciata statuendo che in tema di recupero dell’INVIM dai soci di una società di capitali ormai estinta, sebbene non sia applicabile il combinato disposto degli articoli 36, comma 5, e 60 del D.P.R. 29/09/1973, n. 602, perché limitato dall’art. 19 del D. LGS 26/02/1999, n. 46, all’esazione delle sole imposte dirette, l’Agenzia delle entrate è ugualmente tenuta a portare a conoscenza del contribuente, in modo da consentirgli di contestare la fondatezza della pretesa impositiva, le ragioni per le quali egli è obbligato, in base agli specifici presupposti di cui all’art. 2495 c.c., a versare l’imposta accertata in capo alla società, con la conseguenza che la cartella di pagamento, non preceduta dalla notifica di un apposito avviso di liquidazione nei confronti del socio, è illegittima (Cass. civ., Sez. V, Sent. 30 dicembre 2016, n. 27488).
In conclusione, il Giudice di legittimità ha rilevato che l’Agenzia non ha fatto valere la responsabilità dell’amministratore, liquidatore e socio unico né ex art. 2495 c.c. e neppure ex art. 36 del D.P.R. 29/09/1973, n. 602, ma invece ha direttamente dedotto l’obbligazione tributaria accertata nei confronti della società, notificando la cartella al ricorrente in proprio.
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