Quando l’amministratore sceglie l’avvocato e i condomini pagano l'onorario

Il Tribunale di Treviso, con sentenza dell’11 dicembre 2018, si uniforma ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, seppur non compiutamente richiamato in motivazione: l’amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione dell'assemblea, può validamente conferire procura ad un avvocato al fine di proporre opposizione a decreto ingiuntivo per tutte le controversie che rientrino nell'ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c. Appare invece errato il riferimento fatto dal Tribunale al principio della rappresentanza apparente, ritenuto comunque operante nei confronti del condominio in ipotesi di iniziativa contrattuale dell'amministratore sprovvista della necessaria approvazione assembleare.

Un avvocato convenne un Condominio davanti al Tribunale di Treviso, domandandone la condanna al pagamento del compenso per l’attività professionale svolta in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo pronunciato su domanda dell’impresa appaltatrice che aveva eseguito la ristrutturazione del fabbricato condominiale. In quel giudizio di opposizione a ingiunzione, l’avvocato aveva eccepito l’inadempimento dell’appaltatrice e la condanna della stessa al risarcimento dei danni. L’opposizione venne parzialmente accolta in primo grado, con sentenza non appellata, restando il Condominio condannato al pagamento di un minor importo rispetto a quello intimato in via monitoria.

Nella causa promossa in seguito dall’avvocato per ottenere la liquidazione dei proprio compenso, il Condominio si era tuttavia difeso replicando che i singoli partecipanti neppure erano a conoscenza del giudizio intercorso con l’appaltatrice, in quanto l’incarico di proporre opposizione all’ingiunzione era stato conferito dall’amministratore dell’epoca senza neppure premunirsi della necessaria delibera dell’assemblea.

Il Tribunale di Treviso, con sentenza dell’11 dicembre 2018, premessa una dissertazione teorica sulla natura giuridica della figura dell’amministratore di condominio, ha concluso nel senso che l’oggetto della lite con l’appaltatrice rientrasse nelle attribuzioni proprie dell’amministratore, ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c., sicché il mandato rilasciato all’avvocato per proporre l’opposizione a decreto ingiuntivo non poteva considerarsi atto concluso da un falsus procurator.

Avendo l’avvocato attore invocato una sentenza della Corte di Cassazione del 24 maggio 2010, pur definita “recente” dal Tribunale di Treviso, ed avendo il Condominio resistito argomentando che l’avvocato stesso, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, aveva introdotto altresì introdotto domande estranee alle attribuzioni dell’amministratore ex art. 1130 c.c. (quali quelle inerenti all’inadempimento dell’appaltatrice, all’esistenza di vizi nelle opere ed ai conseguenti danni), il Tribunale di Treviso ha deciso la questione ritenendo dirimente altra “recentissima sentenza della Suprema Corte”, ovvero Cass. 16 ottobre 2017, n. 24302. Il ragionamento decisivo esposto nella sentenza in commento è che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo attenesse al contratto di appalto validamente concluso fra il Condominio e l’impresa appaltatrice.

A “solo titolo di obiter dictum”, il Tribunale di Treviso ha aggiunto che, pur ove fosse emersa, nella specie, l’esorbitanza dell’operato dell’amministratore dalle rispettive amministrazioni, sarebbe stata ravvisabile la “fattispecie della rappresentanza apparente e, pertanto, il contratto di prestazione d’opera intellettuale sarebbe comunque efficace nei confronti del Condominio”, risultando accertate circostanze “obiettivamente idonee a ingenerare l’impressione, in capo all’attore, che l’amministratore gli avesse fornito l’incarico a seguito dell’autorizzazione assembleare”.

Il dispositivo della sentenza del Tribunale di Treviso risulta comunque conforme a diritto, anche se la motivazione adottata andrebbe integrata e corretta sia quanto all’indicazione dei precedenti giurisprudenziali pertinenti alla questione decisa, sia quanto all’improvvido obiter dictum.

L’art. 1131, comma 2, c.c. dispone che l’amministratore “può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio”.

Nel ricostruire la portata di questa disposizione, il primo riferimento obbligato deve farsi, allora, a Cass., sez. un., 6 agosto 2010, n. 18331. Questa sentenza ha ritenuto che l'amministratore convenuto possa certamente costituirsi autonomamente in giudizio, così come impugnare la sentenza sfavorevole al condominio, è ciò nel quadro generale di tutela urgente di quell'interesse comune che è alla base della sua qualifica e della legittimazione passiva di cui è investito; non di meno, l’operato dell’amministratore deve poi essere sempre ratificato dall'assemblea, in quanto unica titolare del relativo potere.

La ratifica assembleare vale a sanare retroattivamente la costituzione processuale dell'amministratore sprovvisto di autorizzazione dell'assemblea, e perciò vanifica ogni avversa eccezione di inammissibilità, ovvero ottempera il rilievo ufficioso del giudice che abbia all’uopo assegnato il termine exart. 182 c.p.c. per regolarizzare il difetto di rappresentanza. Tale orientamento, infine prevalso nel pensiero dei giudici, nega che l'amministratore sia titolare di una legittimazione processuale passiva illimitata “ex lege” (ovvero, della titolarità di una “difesa necessaria”) per le azioni concernenti le parti comuni dell'edificio. La finalità dell’art. 1131, comma 2, c.c. sarebbe, in pratica, limitata a facilitare i terzi nell’evocazione in giudizio di un condominio, consentendo loro di notificare la citazione al solo amministratore anziché a tutti i condomini; dovendo poi l'amministratore munirsi di autorizzazione dell'assemblea per resistere nella lite. Quel che occorre per il perfezionamento della notificazione al condominio non può dirsi automaticamente bastante pure per la piena costituzione in giudizio dello stesso. La decisione se resistere alla domanda o se impugnare la sentenza sfavorevole non può competere all’amministratore, in quanto le facoltà di iniziativa processuale e le scelte di conduzione del procedimento appartengono alla parte in senso sostanziale, di cui è espressione unicamente il collegio dei condomini. In pratica, l’autorizzazione dell'assemblea a resistere in giudizio si risolverebbe in un mandato all'amministratore a conferire la procura "ad litem" al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, per cui l'amministratore non svolge che una funzione di mero "nuncius".

L’ambito applicativo di Cass. sez. un. 6 agosto 2010, n. 18331 (circa la regola della necessità dell'autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell’amministratore) va allora certamente riferito soltanto alle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1131, commi 2 e 3, c.c.. Deve perciò accordarsi all'amministratore, senza intervento alcuno dell’assemblea, l’autonoma legittimazione a resistere all'impugnazione di una delibera assembleare da parte di un condomino (Cass. 23 gennaio 2014, n. 1451; Cass. 25 maggio 2016, n. 10865), o a proporre (come appunto nella fattispecie decisa dal Tribunale di Treviso) opposizione al decreto ingiuntivo richiesto nei confronti del condominio dal terzo che ne sia creditore in forza di obbligazione assunta dal medesimo amministratore per dare esecuzione a delibere assembleari, oppure per erogare le spese occorrenti ai fini della manutenzione delle parti comuni o dell'esercizio dei servizi condominiali, come precisato in giurisprudenza in realtà già da Cass. 3 agosto 2016, n. 16260 (si veda poi Cass. 21 maggio 2018, n. 12525). E’ stato anche chiarito nelle sentenze della Suprema Corte come l'amministratore di condominio, per conferire procura al difensore al fine di costituirsi in giudizio nelle cause che rientrano nell'ambito delle proprie attribuzioni, non necessita di alcuna autorizzazione assembleare che, ove anche intervenga, ha il significato di mero assenso alla scelta già validamente compiuta dall'amministratore medesimo (Cass. 25 maggio 2016, n. 10865).

La questione di diritto risolta dal Tribunale di Treviso è stata, pertanto, esaminata dalla giurisprudenza di legittimità con elaborazione molto più radicata di quanto risulti dalla motivazione della sentenza in rassegna.

Non è, infine, condivisibile quanto il medesimo Tribunale di Treviso ipotizza circa l’astratta configurabilità di una ipotesi di “rappresentanza apparente”. La Corte di Cassazione afferma, esattamente al contrario, che l'iniziativa contrattuale dell'amministratore il quale, senza previa approvazione o successiva ratifica dell'assemblea, allorché questa sia necessaria, conferisca un incarico per una prestazione di opera o per l'esecuzione di lavori, non determina l'insorgenza di alcun obbligo di contribuzione dei condomini al riguardo, non trovando applicazione il principio secondo cui l'atto compiuto, benché irregolarmente, dall'organo di una società resta valido nei confronti dei terzi che abbiano ragionevolmente fatto affidamento sull'operato e sui poteri dello stesso, giacché i poteri dell'amministratore del condominio e dell'assemblea sono delineati con precisione dagli artt. 1130 e 1335 c.c., che limitano le attribuzioni del primo all'ordinaria amministrazione, mentre riservano alla seconda le decisioni in materia di amministrazione straordinaria; né il terzo può invocare l'eventuale carattere urgente della prestazione commissionatagli dall'amministratore, valendo tale presupposto a fondare, ex art. 1135, ultimo comma, c.c., il diritto dell'amministratore al rimborso selle spese nell'ambito interno al rapporto di mandato (Cass. 17 agosto 2017, n. 20136; Cass. 7 maggio 1987, n. 4232).

Art. 1130 c.c.Art. 1130 c.c.

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