È legittima la clausola di esclusione del socio legata ad un "change of control"

Si reputa legittima come giusta causa di esclusione del socio ex art. 2473-bis c.c. quella in forza della quale un socio possa essere escluso dalla società qualora il medesimo sia a sua volta una società e, senza il consenso dei restanti soci della partecipata, muti per qualsiasi causa la propria compagine sociale, anche in esito a operazioni di scissione o fusione (c.d. changing control). Tale clausola può essere introdotta in statuto a maggioranza.Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie - Orientamenti in materia di atti societari 2015, 19 Settembre 2015 - Orientamento I.H.19

L'orientamento in esame prende posizione sul tema relativo alla legittimità di una clausola -inserita nell'atto costitutivo di una società a responsabilità limitata- che preveda l'esclusione di un socio, che sia una società, qualora questa muti, per qualsiasi motivo, la propria compagine sociale senza il consenso dei restanti soci.

La questione affrontata dal Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie è di spiccato interesse data l'ampia diffusione nella prassi di clausole di tale tenore.

Ed infatti, come noto, con la riforma del diritto societario introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003 il legislatore ha previsto la possibilità per le società a responsabilità limitata di prevedere ipotesi di esclusione del socio ulteriori rispetto a quella legale disciplinata dall'art. 2466 c.c. (esclusione del socio moroso), liberamente determinabili dalla autonomia negoziale, purché soddisfino determinati requisiti.

Prima della entrata in vigore di tale riforma, invero, l'applicazione dell'istituto alle società a responsabilità limitata, come in genere a tutte quelle di capitali, era dai più ritenuta preclusa, in considerazione della irrilevanza dell'elemento personale dei soci in tali modelli organizzativi (M. Cian, L'esclusione del socio, in Srl Commentario, Milano, 2011). E' evidente infatti che, essendo l'esclusione il modo definitivo con cui le parti del contratto sociale recidono il vincolo con un certo socio, tale effetto ha di certo maggior significato e ragion d'essere dove la partecipazione abbia un rilievo qualitativo legato alla singola persona, a sue qualità o caratteristiche (M. Lubrano di Scorpaniello, L'esclusione facoltativa del socio nella s.r.l., in Giur. comm., 2011, 6).

Sul punto, la relazione al D.Lgs. n. 6 del 2003 evidenzia la volontà di avvicinare il modello delle società a responsabilità limitata a modelli caratterizzati dalla rilevanza personale dei partecipanti all'iniziativa economica. E così, l'art. 2473-bis c.c. -che detta, appunto, le disposizioni relative alla esclusione del socio- è espressione del disegno riformatore volto ad accentuare profili personalistici o, meglio, a consentire all'autonomia statutaria di plasmare in concreto il modello organizzativo voluto.

La funzione dell'istituto della esclusione del socio, dunque, è presidiare l'intuitus sulla base del quale è stata contratta la società, tutelando la volontà della maggioranza di continuare l'esercizio dell'impresa comune alle condizioni stabilite originariamente o a quelle necessarie per la prosecuzione dell'attività stessa (Casale, L'esclusione del socio nella società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2009, I.; Piscitello, Recesso ed esclusione, in Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Torino, 2006; M. Lubrano di Scorpaniello, L'esclusione facoltativa del socio nella s.r.l., in Giur. comm., 2011, 6; M. Cian, L'esclusione del socio, in Srl Commentario, Milano, 2011).

La disciplina dettata dal legislatore in merito è assai scarna e la sinteticità del dettato normativo esprime la volontà di affidare alla autonomia negoziale il compito di regolamentazione concreta dello strumento espulsivo.

Gli unici limiti espressamente previsti sono quelli della specificità delle ipotesi di esclusione e della giusta causa. Il primo assicura al socio la conoscenza in via preventiva delle condizioni al verificarsi delle quali potrebbe venire provocata la sua espulsione e rimuove il rischio di comportamenti opportunistici da parte della società. Il filtro della giusta causa, invece, è funzionale a calibrare il potere di esclusione alla meritevolezza dell'interesse servito e all'attinenza di questo al rapporto societario, evitando così che tale potere possa essere trasformato in un arbitrario strumento di allontanamento di soci ritenuti scomodi.

Quanto ai presupposti per l'esclusione la dottrina ha avuto modo di chiarire che risultano senz'altro inammissibili non soltanto clausole che contengano un generico richiamo alla sussistenza della giusta causa (e ciò in quanto le fattispecie legittimanti devono essere fondate su una giusta causa di esclusione, per tale intendendosi "ogni accadimento riguardante la persona del socio che sia idoneo a pregiudicare la profittevole prosecuzione del rapporto sociale con il medesimo") (Amplius, M. Cian, L'esclusione del socio, in Srl Commentario, Milano, 2011) ma, secondo l'opinione assolutamente prevalente, anche quelle che facciano riferimento a "gravi inadempimenti" oppure alla "violazione del dovere di buona fede" o al comportamento del socio atto a "fomentare dissidi" o a "recare danno alla società" (In giurisprudenza, cfr. Trib. di Milano, 5 febbraio 2009; Trib. Treviso 17 giugno 2005).

Proprio in tale prospettiva pare condivisibile l'orientamento in esame: il mutamento della compagine sociale, se determinante un cambio di controllo di quest'ultima, ben può ripercuotersi sul rapporto sociale, strettamente connesso agli elementi soggettivi relativi al singolo socio, e impedire la continuazione dell'esercizio di impresa nei termini in cui i soci originari l'avevano inteso.

La clausola che disciplina la fattispecie di esclusione facendo riferimento al mutamento della compagine sociale tutela chiaramente l'interesse alla conservazione dei connotati soggettivi dei soci, funzionali alle modalità organizzative dell'attività comune e al buon andamento dell'iniziativa societaria, come programmato dai compartecipi: ciò chiarito, detta clausola pare legittima nella misura in cui vengano rispettati i presupposti di operatività dell'istituto.

Pertanto, non ogni mutamento della compagine sociale è idoneo a sortire l'effetto escludente ed, in questo senso, il riferimento al mutamento della compagine sociale pare generico: preferibile è il riferimento (contenuto nella seconda parte della massima) unicamente alle ipotesi di mutamento dovute ad un cd. change of control. Non paiono esservi dubbi, ad esempio, sulla potenziale incidenza sul rapporto sociale originario dell'uscita o dell'ingresso di un socio che disponga della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria o di voti o vincoli contrattuali tali da consentirgli di esercitare una influenza dominante (art. 2359, comma 1, n. 2 e 3 c.c.), ovvero in base ad accordi con altri soci (c.d. controllo congiunto, da intendersi -appunto- come esercizio comune tra più soggetti di un'influenza dominante nei confronti della società sulla base ad esempio di un patto parasociale). Al contrario, ipotesi diverse, che comportino un mutamento della compagine non immediatamente incidente sulla capacità decisionale dell'ente, paiono difficilmente legittimare l'esclusione del socio, anche con riferimento alla ratio sopra delineata dell'istituto stesso.

Ciò detto la massima lascia aperta all'interpretazione la disciplina di casi diversi da quelli sopramenzionati, quale il caso del cambio di controllo indiretto della compagine societaria, non al livello quindi del soggetto direttamente partecipante l'ente bensì al livello dei soggetti partecipanti il medesimo, casi che, pure, potrebbero trovare una propria disciplina positiva all'interno dello statuto sociale.

In sostanza, appare opportuno che l'autonomia negoziale individui all'interno dello statuto sociale e circostanzi con rigore le ipotesi di mutamento della compagine sociale idonee ad incidere o a recare potenziale pregiudizio al rapporto sociale originario legittimanti quindi l'esclusione del socio, in modo da limitare il più possibile i margini di discrezionalità dell'organo deputato ad accertare il sussistere di dette cause di esclusione (e le probabilità di impugnazione delle conseguenti decisioni assunte) e prevedere doveri di informativa in capo ai soci per le ipotesi non direttamente rilevabili dalla società.

Sotto questo profilo la clausola che disciplina la fattispecie esclusiva facendo riferimento al mutamento della compagine sociale a seguito di cambio di controllo pare soddisfare il requisito della specificità.

Per ciò che concerne l'organo competente a dichiarare la sussistenza di una causa di esclusione, sembrerebbe possibile che esso venga -in statuto- alternativamente individuato nell'assemblea dei soci ovvero nell'organo amministrativo. Ad avviso di chi scrive affidare la competenza a ciò all'assemblea consentirebbe di demandare ogni decisione in merito direttamente alle parti del contratto sociale, in quanto tali direttamente coinvolte dall'esclusione di una di esse (anche considerando che il disposto dell'art. 2473-bis c.c. prevede che la liquidazione della quota del socio escluso avvenga attingendo alle riserve della società ovvero attraverso il trasferimento delle stesse in favore di uno o più degli altri soci, essendo interdetto il rimborso mediante la riduzione del capitale sociale previsto invece in caso di recesso), assicurerebbe una maggiore trasparenza del processo decisionale ed attribuirebbe la possibilità del vaglio giudiziario attraverso l'eventuale impugnazione della delibera assembleare.

Quanto, infine, alle modalità di individuazione delle ipotesi di esclusione, l'orientamento in esame si inserisce nel dibattito avente ad oggetto la possibilità di introdurre o modificare le fattispecie esclusive durante societate secondo le normali procedure di modificazione dell'atto costitutivo (Sul tema, cfr. F. Annunziata, L'esclusione del socio, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, subart. 2473, Milano, 2008; Perrino, La rilevanza del socio nella srl: recesso, diritti particolari, esclusione, in Giur. comm. 2003, I, 810; Zanarone; Delle società a responsabilità limitata, in Il codice civile. Commentario, Milano, 2010; Trib. Milano 24 maggio 2007; Trib. Ragusa 21 novembre 2005; Trib. Treviso 17 giugno 2005).

La posizione assunta dal Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, del tutto condivisibile, aderisce all'orientamento prevalente secondo il quale una clausola di tale portata possa essere introdotta, successivamente alla costituzione della società, a maggioranza. L'orientamento opposto, invece, si fonda sul diritto di ciascun socio alla permanenza nell'ente, in quanto tale appartenente alla sfera di posizioni soggettive dei soci sottratte al potere dispositivo della maggioranza, il che imporrebbe di raccogliere l'unanimità dei consensi.

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