Il giurista di impresa non può iscriversi all’elenco speciale dell’albo degli avvocati

L’avvocato, per quanto in possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione forense, se titolare di un rapporto di lavoro subordinato con un privato, non è legittimato a chiedere l’iscrizione nell’elenco speciale di cui all’art. 23 della legge professionale.

Il Consiglio Nazionale Forense esamina uno dei problemi di maggiore attualità nella attuale configurazione della professione forense, ossia quello dello status professionale dei c.d. giuristi di impresa, escludendo, in particolare, che questi ultimi possano iscriversi all’elenco speciale previsto per gli avvocati dipendenti degli enti pubblici.

Il fatto

Nel caso in esame il Consiglio Nazionale Forense è stato adito in sede di impugnazione nei confronti di una decisione emessa dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Nella pronuncia impugnata il COA territoriale aveva rigettato la richiesta di iscrizione nell’albo speciale degli avvocati degli enti pubblici (di cui all’art. 23 della legge professionale) formulata da un avvocato dirigente dell’ufficio legale di una compagnia di assicurazioni.

La domanda

Il COA di Roma, con una motivazione riferita per relationem a quella adottata in una precedente decisione del 2018, rigettava la richiesta di iscrizione nell’albo speciale. La decisione veniva quindi impugnata avanti al Consiglio Nazionale Forense; l’appellante deduceva, in particolare, il vizio di motivazione della decisione di primo grado e, comunque, l’erroneità della stessa nell’interpretazione dell’art. 2 della legge professionale (ritenuta idonea o in ogni caso non ostativa all’iscrizione nell’albo speciale di cui all’art. 23 della legge professionale).

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Nella pronuncia annotata, come già accennato, il Consiglio Nazionale Forense affronta il delicato problema dello status dei giuristi di impresa, ossia di quei professionisti che, pur avendo l’abilitazione all’esercizio della professione forense, sono assunti come lavoratori subordinati presso un datore di lavoro privato (normalmente negli uffici legali di società commerciali). Il tema è evidentemente di grande attualità, considerando la sempre maggiore espansione di questa figura professionale.

La decisione del CNF, fondata sul chiaro dato normativo e confermativa della decisione di primo grado, è sostanzialmente ineccepibile. Il Consiglio Nazionale Forense, infatti, partendo dalla natura residuale ed eccezionale dell’elenco speciale di cui all’art. 23 della legge speciale, ritiene che le condizioni di iscrizione a tale elenco siano tassative e, comunque, non possano essere oggetto di interpretazione estensiva.

In effetti, la predetta norma è assolutamente esplicita nel limitare la possibilità di iscrizione all’elenco speciale ai soli avvocati dipendenti degli enti pubblici. Anche la deroga ivi prevista per gli avvocati dipendenti di enti pubblici trasformati in enti privati è comunque condizionata al fatto che di tali enti mantenga la prevalente partecipazione un ente pubblico.

Al di là del dato puramente esegetico, però, il caso da cui nasce la decisione in commento rappresenta una volta di più un esempio della fragilità (e della sempre minore attualità) della tradizionale distinzione fra giuristi di impresa (abilitati alla consulenza stragiudiziale esclusivamente a favore del proprio datore di lavoro) e avvocati di libero foro.

Tralasciamo ogni considerazione di natura comparatistica, anche se, sotto questo aspetto, è molto marcata la differenza con gli ordinamenti di common law, in cui i giuristi di impresa (i c.d. in-house counsel) sono considerati avvocati, soprattutto ai fini dell’applicazione della disciplina deontologica. Indubbiamente la posizione espressa dal CNF è prevalente anche a livello europeo-continentale, tanto è vero che, ancora pochi anni fa, la Corte di Giustizia, nel famoso caso Akzo-Nobel ha escluso che i giuristi di impresa europeo-continentali (a differenza di quelli statunitensi e inglesi) possano invocare il segreto professionale.

Ciò, tuttavia, non elimina le sempre maggiori incertezze che l’attuale configurazione del mercato legale sta generando. Certamente non spettava al CNF risolvere un problema che richiederebbe più ampie riflessioni circa gli attuali confini della professione forense. Anzitutto, da un punto di vista strettamente teorico, appare evidente come i più recenti sviluppi, anche tecnologici (si pensi solo alle sempre più diffuse piattaforme di consulenza legale online), stiano ormai erodendo o, comunque, riconfigurando l’ambito delle attività tradizionalmente riservate agli avvocati.

In secondo luogo, da un punto di vista strettamente pratico, l’impossibilità di iscrizione all’elenco speciale può ora essere facilmente aggirata: è oggi possibile, infatti, che una società privata costituisca una società di capitali con avvocati del libero foro e affidi a tale società la gestione di tutto il proprio contenzioso. E’ evidente come, in tal caso, l’effetto pratico sarebbe del tutto identico, con il duplice ulteriore svantaggio che i professionisti (essendo sotto il controllo “di fatto” del socio di capitali, apparentemente di minoranza, ma di maggioranza nei fatti) non avrebbero le tutele dei lavoratori dipendenti e che la società così costituita potrebbe assistere anche clienti diversi dal socio di capitali (così di fatto andando ben oltre il potere di rappresentanza giudiziale previsto per gli avvocati degli enti pubblici, che, come noto, possono assistere solo l’ente di cui sono dipendenti).

In terzo luogo, appare sempre più discutibile la stessa ratio che tradizionalmente viene posta a fondamento dell’esclusione della possibilità di iscrizione nell’albo degli avvocati da parte dei giuristi d’impresa, ossia la minore indipendenza che quest’ultimo avrebbero rispetto agli avvocati del libero. Proprio per rimanere in ambito assicurativo (come nel caso esaminato dalla decisione del CNF), appare alquanto discutibile pensare che l’avvocato fiduciario di una compagnia di assicurazioni, pagato (spesso male e comunque) a forfait per ogni pratica e spesso legato al cliente da un rapporto di monocommittenza, sia davvero più indipendente del legale interno per il solo fatto di non essere legato da un rapporto di lavoro subordinato.

Come detto, il CNF non poteva (e non aveva certo il compito) di mettere in discussione una questione così delicata. Tuttavia, appare sempre più indifferibile un ripensamento delle categorie tradizionali di svolgimento della professione forense. Del resto, e si tratta di un’ovvietà (per quanto spesso trascurata), è sempre meglio cercare di gestire il cambiamento piuttosto che ignorarlo per poi esserne travolti.

La decisione in sintesi

L’avvocato dipendente subordinato di un soggetto privato, pur potendo prestare consulenza stragiudiziale, non è legittimato a chiedere l’iscrizione nell’albo speciale di cui all’art. 23 legge professionale.

Esito della domanda:

Dichiara infondato il ricorso

Precedenti giurisprudenziali:

Cass. civ. sez. lav., 30 marzo 2018, n. 7992

Corte Giustizia UE 14 settembre 2010, n. 550/07

Riferimenti normativi:

Art. 2, L. n. 247/2012

Art. 23, L. n. 247/2012

 

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