Penale

E' offesa contro le confessioni religiose se l’immagine del Papa è il bersaglio per le freccette

In tema di delitti contro le confessioni religiose, l'attacco violento e volgare al Papa rivolto allo stesso in quanto Capo della Chiesa cattolica integra il reato di offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone, atteso che quando la contestazione è posta in essere con espressioni oltraggiose nei confronti del Pontefice la stessa è certamente idonea a vilipendere il suo ruolo e la religione cattolica che tale ruolo riconosce, dovendosi escludere la possibilità di un loro inquadramento nella critica, seppure “accesa”, alla sola persona fisica del Pontefice, sostanziandosi in offesa alla religione cattolica, ed ancor più al sentimento religioso.

La questione esaminata dalla Cassazione, nella sentenza qui commentata, concerne il tema della configurabilità del reato di offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone, previsto dall’art. 403 c.p. in una peculiare fattispecie nella quale il destinatario dell’offesa era il Sommo Pontefice. Nel caso di specie alcuni soggetti erano stati condannati per aver offeso la confessione religiosa cattolica, mediante vilipendio del Pontefice collocando, in modo da essere ben visibile, nel corso di una manifestazione, ad un angolo del sagrato di una Chiesa, un cartellone raffigurante sullo sfondo una sagoma costituita dall'immagine del Pontefice ed, in primo piano, un bersaglio costituito da una serie di cerchi concentrici con l'indicazione di punteggi vari, riportante in calce una scritta offensiva del Papa. La Cassazione, disattendendo la tesi difensiva secondo cui la condotta posta in essere aveva riguardato il Pontefice in quanto persona e non quale strumento mediante il quale offendere la religione cattolica atteso che si intendeva esprimere il dissenso dalla linea seguita dal Pontefice in tema di omosessualità ed abusi su minori, ha invece confermato la condanna escludendo la possibilità di attribuire alle espressioni la "dignità" di critica, seppure "accesa" alla sola persona fisica del Pontefice, con esclusione di ogni offesa alla religione cattolica, ed ancor più al sentimento religioso.

Il fatto

La vicenda processuale segue, come anticipato, alla sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la sentenza del Tribunale che aveva condannato alcuni soggetti per il reato di cui agli artt. 110, 403, c. 2 c.p. perché, in concorso tra loro, offendevano la confessione religiosa cattolica, mediante vilipendio del Pontefice collocando, in modo da essere ben visibile, nel corso di una manifestazione, ad un angolo del sagrato di una Chiesa, un cartellone raffigurante sullo sfondo una sagoma costituita dall'immagine del Pontefice ed, in primo piano, un bersaglio costituito da una serie di cerchi concentrici con l'indicazione di punteggi vari, riportante in calce una scritta oltraggiosa ed iniziando un accanito lancio di freccette multicolori.

Il ricorso

Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati, in particolare, per quanto qui di interesse, sostenendo che il bene giuridico tutelato dalla norma è la "confessione", inteso quale generalizzato sentimento religioso ritenuto meritevole di tutela e non già il ministro di culto, che rappresenta solo il mezzo attraverso il quale si realizza il fine di offendere la confessione. Nel caso di specie la condotta posta in essere aveva riguardato il Pontefice in quanto persona e non quale strumento mediante il quale offendere la religione cattolica; si intendeva dunque esprimere il dissenso dalla linea seguita dal Pontefice in tema di omosessualità ed abusi su minori. Il reato in esame sarebbe configurabile, per la difesa, solo quando le condotte ingiuriose interessino il ministro di culto in maniera strumentale, e quindi indiretta, essendo rivolte al culto religioso, mentre l'integrazione del reato è esclusa se riguardano direttamente il soggetto che amministra il culto, come nel caso di specie.

La decisione della Cassazione

La Cassazione, nell’affermare il principio di cui in massima, ha respinto il ricorso, ritenendo configurabile nel caso in esame il reato di cui all’art. 403 c.p..

Per migliore intelligibilità della questione, va qui ricordato che l’art. 403 c.p., sotto la rubrica «Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone», punisce con la multa da euro 1.000 a euro 5.000 la condotta di chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa. Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto.

La fattispecie penale in questione, dopo la riforma attuata dalla L. 24.2.2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in materia di reati d'opinione) che ha riformulato tra l'altro, il comparto codicistico dedicato ai delitti contro la “religione”, polarizza la condotta sulla nozione di vilipendio. Differenti ne sono le modalità di concretizzazione, come mostrano i più consueti orientamenti applicativi: si ravvisano gli estremi del vilipendio «nella pubblica espressione, con discorsi, scritti e figurazioni, di scherno, dileggio o ingiurioso disprezzo», nei confronti del credente (così, ad es., Cass. pen., sez. III, 7.11.1980). Ancora, con più moderna sensibilità si è connotato il vilipendio «come ostentazione di disprezzo, manifestazione di biasimo, espressione di apprezzamenti moralmente negativi ed implicanti disdegno e disistima generalizzati, alla stregua di canoni assiologici universali o, comunque, non circoscritti a determinate dottrine o ideologie». Le precedenti esemplificazioni dimostrano come il concetto in esame ruoti in definitiva attorno ad un nucleo di significati più o meno stabile; per cui, da un punto di vista tecnico, si discute sulla qualificazione del reato come a forma libera (in questo senso si è espressa la Corte Cost. 8.7.1975, n. 188). Esaminando i tratti peculiari del vilipendio, è stato opportunamente chiarito, sempre in ambito applicativo, come ad esso non debba necessariamente associarsi il carattere della volgarità, grossolanità, turpitudine (in questo senso Cass. pen., sez. III, 20.2.1967), richiedendosi piuttosto il chiaro intendimento di derisione e scherno nei confronti della religione, dei suoi seguaci e dei suoi officianti (Cass. pen., sez. III, 20.2.1967). La condotta di vilipendio certamente si connota entro i confini segnati dallo stesso significato etimologico della parola ("tenere a vile", ossia additare al pubblico disprezzo o dileggio, ovvero svilire), per cui è ben vero che il vilipendio alla religione non deve mai essere confuso con la discussione, scientifica o meno, sui temi religiosi, né con la critica, o con l'espressione di dissenso dai valori religiosi per l'adesione ad ideologie atee o di altra natura, ovvero con la confutazione, anche con toni "accesi", dei dogmi della fede (in tal senso cfr. Cass. pen., Sez. III, n. 10535/2009dell'11/12/2008 D., in Ced Cass. 243084). Del resto anche recentemente (Cass. pen., Sez. III, n. 41044 del 07/04/2015, B., in Ced Cass. 264932) la Cassazione ha ribadito che in materia religiosa, la critica è lecita quando - sulla base di dati o di rilievi già in precedenza raccolti o enunciati - si traduca nella espressione motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora antitetico, risultante da una indagine condotta, con serenità di metodo, da persona fornita delle necessarie attitudini e di adeguata preparazione, mentre trasmoda in vilipendio quando - attraverso un giudizio sommario e gratuito - manifesti un atteggiamento di disprezzo verso la religione cattolica, disconoscendo alla istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di valore e di pregio ad essa riconosciute dalla comunità, e diventi una mera offesa fine a se stessa.

Orbene, facendo applicazione di tale ultimo orientamento giurisprudenziale, i Supremi Giudici hanno osservato come non solo il contenuto del cartellone, le azioni intraprese sullo stesso (il lancio di freccette), il luogo ove tale flash-mob era stato organizzato risultavano oggettivamente, e senza equivoci, idonei e volti a "svilire" e ferire il sentimento religioso cattolico, ma era proprio nei motivi di ricorso, laddove gli imputati avevano adombrato le ragioni di tale loro contestazione (per le posizioni assunte dal Papa nei confronti dei gay ed altre), che emergeva, con vivida chiarezza, che l'attacco violento e volgare al papa era rivolto allo stesso in quanto Capo della Chiesa cattolica, e quindi in quanto il contenuto delle dichiarazioni e dei messaggi del Papa, era in grado di orientare i fedeli e di raggiungere il sentimento religioso degli stessi. In definitiva, la loro condotta si palesava obiettivamente offensiva del sentimento religioso, offesa realizzata mediante pesanti contumelie ed inequivoca istigazione alla derisione del pontefice, risultando perciò integrato il reato di vilipendio.

Da, qui, dunque il rigetto del ricorso.

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