Amiche

Ancora una storia con le donne, nelle sequenze di Silvia Vitrò: in un Paese in apparenza lontano, in cui il diritto assiste taciturno alle diseguaglianze. E con esse alle sofferenze, uscendo dalle regole: per affermare quella sola irriducibile libertà che non incontra altri limiti se non l'atavica prepotenza altrui. Ma a differenza del cult firmato da Ridley Scott, le due Thelma e Louise escono anche da uno spazio e si lasciano immaginare dissolte in un nuovo vento. 

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Una coperta.

Prima di tutto una coperta, perchè poteva fare freddo.

Poi un po’ di biancheria e un vestito.

“Naila, sei pronta, ukht?”

Sua sorella, Rasheeda. Dovevano andare al mercato, a fare la spesa.

Nascose sbrigativa la valigia sotto il letto. Nessuno doveva accorgersi di nulla.

“Allora, ci sei? Jaabir è giù che aspetta!”. Rasheeda aprì la porta della stanza per sollecitarla.

Jaabir era il cugino, le avrebbe accompagnate in macchina al mercato. Non avrebbero potuto fare a meno di lui, perché nel loro Paese le donne non potevano muoversi da sole, né guidare la macchina.

“Si, sono quasi pronta” rispose Naila.

Indossò infine il lungo cappotto nero abaya e il niqab tirato sul volto e scese in strada con la sorella.

Il cugino prese la strada più veloce, quella che costeggiava l’antica Moschea del Pentimento, fatta restaurare da re Faisal sul modello della moschea di Madinah.

Naila pensò che non si sentiva affatto in colpa e non si sarebbe pentita. Era solo preoccupata che il piano potesse funzionare.

La multicolore vivacità del mercato di Tabuk le fece all'inizio dimenticare i suoi nuovi problemi. Da cui tutto era cominciato. Frutta in abbondanza, variopinti banchetti di spezie, verdure, carni e ogni altro cibo.

Comprò un pezzo di agnello, ceci, melograno, curcume e zafferano, della mulukiyya come condimento e del laban insaporito alla menta.

La spesa era fatta, non c’era motivo di trattenersi.

Jaabir le riaccompagnò a casa. Intanto era rientrato anche suo marito Najm. Naila notò lo sguardo di intesa che si diedero i due uomini. Sapeva che cosa significava. Che non vi era alcun problema. Che al mercato era filato tutto liscio e che loro non si erano fermate a parlare con nessuno.

Andò a chiudersi nella sua stanza. Le era venuto in mente di mettere un’altra cosa dentro la valigia. Una sciarpa rossa che aveva mesi prima comprato in un negozio per turisti mentre Jaabir era distratto.

         Muna non avrebbe mai pensato di riuscirci.

Già solo decidere di prendere lezioni era pericolosissimo. Mettere poi in pratica questa decisione costituiva proprio un reato e se suo marito o qualcun altro l’avesse scoperta, la pena sarebbe stata di almeno dieci frustate.

Era quanto prevedeva la prassi delle corti dell’Arabia Saudita nel caso in cui una donna fosse trovata a guidare una macchina.

Ma non era riuscita a resistere

Tutto era cominciato con il ritorno di sua cugina Samar da un viaggio negli Stati Uniti. Il marito, grasso magnate saudita dell’edilizia, si era recato per qualche mese in America per sperimentare una nuova dieta. E c’era andato con la moglie.

.

Samar aveva avuto di tutto a disposizione, camerieri, istruttori di golf, di tennis e di nuoto ed era riuscita anche a prendere lezioni di guida. Una macchina vera.

Al ritorno aveva raccontato tutto a Muna e, cedendo alle richieste, aveva accettato di insegnarle come condurre una macchina.

Primo problema. Dove trovare un’auto.

E qui era stato provvidenziale il catorcio che il loro zio Mohamed teneva in un vecchio garage alla periferia di Tabuk.

Poi, indispensabile, la collaborazione di uno degli uomini della famiglia, il fratello di Muna, che aveva accettato di fingere di uscire con loro. Il piano era, invece, che lui andava a trovare la fidanzata, mentre le due donne si esercitavano in un luogo semidesertico a nord della città.

Muna non si era mai divertita tanto.

La vecchia macchina funzionava male, Samar era una pessima istruttrice e il posto in cui provavano era invaso dalla polvere rossa del deserto che si depositava sul parabrezza e rendeva la visuale sempre incerta.

Eppure, lei e la cugina non facevano che ridere e, giorno dopo giorno, aveva imparato a guidare!

Qualunque vigile l’avrebbe riempita di multe, le avrebbe ritirato la patente che non aveva e le avrebbe sequestrato la macchina.

Ma lei, adesso, sapeva come condurre un’auto. E anche come correre veloce, in barba a qualunque vigile!

         Shawarma e fekafel, con un antipasto a base di melograno.

Aveva messo insieme  quanto comprato al mercato la mattina.

Suo marito sembrava contento e mangiava con appetito.

Era lieta. Ma non per la soddisfazione di suo marito. Per la valigia. Nascosta di sopra, sotto il letto. Pronta.

         Suo fratello Asif l’aveva aiutata anche a sistemare un po’ il catorcio dello zio e a fare il pieno di benzina.

Poteva farcela, i chilometri erano tanti, ma la vecchia auto sembrava resistesse.

Bisognava solo attendere il giorno giusto.

         “Scoperte mentre guidano l’auto, saranno processate davanti alla Corte antiterrorismo e rischiano una pesante condanna.

Loujain Hathloul e Maysaa Al Amoudi, 25 e 30 anni, lottano da tempo in favore del riconoscimento del diritto delle saudite alla guida, come anche degli altri diritti ad esse negati.

Hanno raccolto migliaia di firme on line, ma questo non le ha salvate dall’arresto per aver infranto il divieto di guida.

In realtà nessuna legge vieta formalmente alle donne di guidare in Arabia Saudita, ma i religiosi ultra conservatori hanno emesso fatwe molto rigide e le autorità civili non rilasciano le patenti di guida.

Una delle pene solitamente applicate è quella della condanna a dieci frustate.

Loujain e Maysaa attendono da settimane in carcere la decisione della Corte.

Il mondo del web si è mobilitato a loro favore e anche molti uomini sauditi hanno cominciato a esortare le loro compagne a infrangere il divieto.

Ma questi passi in avanti non hanno scosso le rigide gerarchie religiose wahabite, vicine dal punto di vista dottrinale al salafismo radicale che ispira i leader dello Stato Islamico in Iraq e in Siria”.

         Muna lesse l’articolo con affanno.

Lei non si sarebbe fatta arrestare. Piuttosto preferiva  andarsi  a sfracellare da qualche parte con l’auto. Ed era sicura che la sua amica Naila la pensasse nello stesso modo.

         Avevano già superato il Monte Hasma e puntavano a nord.

La polvere rossa che arrivava dal deserto faceva lacrimare un po’ gli occhi, ma forse era anche l’emozione. L’emozione di fare qualcosa da sole. Provare ad essere libere.

“Se avessimo svoltato a sinistra all’ultimo incrocio, saremmo arrivate a Bida. Ci sono stata qualche anno fa con Najm. Eravamo andati a visitare le antiche tombe nabatee. Si moriva di caldo, mi sentivo soffocare. Lui invece era entusiasta e non faceva che disquisire sull’importanza di quello scavo archeologico. In effetti si trattava di antichi e preziosi reperti”. Dopo essere stata a lungo in silenzio, una volta lasciata Tobuk, Naila aveva ritrovato la voglia di parlare.

“Ne hai nostalgia?” chiese Muna, impegnata nella guida.

“No. Era solo un ricordo”.

La strada si mantenne rettilinea per ancora alcuni chilometri e ad un certo punto prese a costeggiare il versante di una collina.

“Siamo già abbastanza lontane da Tobuk. Ce la facciamo!” esclamò con soddisfazione Muna.

“Non è detto. Non ancora. Dobbiamo superare queste alture, poi potremo dire di aver messo lo spazio giusto tra noi e le nostre famiglie, prima che scoprano la nostra assenza”.

“Ci siamo quasi, ecco la sommità della collina, ora scendiamo dall’altra parte e…” Muna non finì la frase.

Di colpo, si parò di fronte a loro un’immagine che non avrebbero mai voluto vedere! Un posto di blocco, parecchie auto della polizia, uomini a terra che formavano una barriera.

E non era finita qui. Un fastidiosissimo ronzio le avvertì che, alle loro spalle, erano anche arrivati due elicotteri dell’esercito, pronti a seguirle ovunque esse avessero deciso di andare!

“Vai!” gridò Naila.

“Come? Dove vado? Gli vado contro?” ribattè agitata Muna.

“Vai, vai, non ti fermare! Dai dai, all’ultimo si sposteranno, non sono dei suicidi!”.

“Se lo dici tu, allora vado!” esclamò a gran voce Muna e spinse sull’acceleratore, tutto giù, sempre più forte, dai vecchio catorcio, non ci abbandonare!

         Quel mattino presto, l’ispettore Sabil era stato buttato giù dal letto dal suo superiore. Un’emergenza, due donne avevano abbandonato la famiglia, la denuncia l’avevano fatta i mariti. Pareva che le due si conoscessero e fossero fuggite a bordo di un’auto, oltre tutto contravvenendo al divieto di guida.

Ma che era successo a quelle due? non  potevano starsene buone a casa, come tutte le altre?

Ricerche, supposizioni e poi il posto di blocco. Era probabile che passassero di lì. Ore di attesa sotto il sole cocente.

E adesso eccole, erano arrivate.

E non si fermavano. L’ispettore Sabil non credeva ai suoi occhi, una vecchia Peugeot, con il paraurti ammaccato e un finestrino rabberciato con lo scotch, lanciata a forte velocità contro gli uomini della polizia e dell’esercito che facevano barriera, proseguiva la sua corsa, non accennava a smettere, via tutti, spostatevi ragazzi, queste sono impazzite!

         Naila e Muna non avrebbero mai pensato di riuscirci e invece era successo, avevano superato il posto di blocco e ora filavano di corsa, inseguite dalle macchine della polizia e dai due elicotteri dell’esercito.

“Ma sei sicura che questa auto non abbia il motore truccato” chiese Naila all’amica, “sta andando troppo veloce per le sue condizioni!”.

“Non lo so, mio zio Mohamed a volte è imprevedibile. Un giorno, quando ero piccola, aveva dimenticato le chiavi di casa ed era riuscito ad entrare scardinando una finestra!”.

“Ma tuo zio non è un po’ ciccione? Come ha fatto a passare per la finestra?”

“La finestra era grande” replicò semplicemente Muna.

Naila rimase per un attimo in silenzio e poi scoppiò a ridere, scherzando sulle misure della finestra e su quelle dello zio di Muna, e gli echi della sua risata nervosa si propagarono lungo la strada che, sempre più sconnessa, si inerpicava su per lande solitarie, dove la polvere del deserto faceva a tratti da barriera tra le inseguite e gli inseguitori.

L’ispettore Sabil era nero di rabbia, chi l’avrebbe sentito ora il superiore, si erano fatti sfuggire due giovani donne che viaggiavano su una vecchia macchina, polizia ed esercito avevano fatto una pessima figura e la situazione non si era neppure risolta, perché l’inseguimento proseguiva e la Peugeot non accennava a fermarsi.

E poi polvere, polvere dappertutto, quasi non ci vedeva più, dove erano arrivati, quanto tempo sarebbe durata quella sceneggiata? non era ancora arrivato il momento che quelle due mettessero la testa a posto? ma di cosa con qualche ragione si lamentavano in fondo? non avevano tutto? tutto quel che serviva?

         Di colpo Muna pigiò sul freno e fermò l’auto.

“Che fai, sei impazzita? Non li vedi gli elicotteri sulla nostra testa e le auto della polizia dietro di noi?” le urlò Naila.

“Ecco, ci siamo” replicò Muna, voltandosi a guardare l’amica con occhi lucidi.

“Sì, è vero. Scusami non me ne ero accorta” disse Naila dopo aver dato un’occhiata intorno a loro.

“Che cosa facciamo, allora? Andiamo avanti? Sai che è una decisione definitiva, una volta fatto non si torna più indietro!”.

“No. Non si torna indietro!” ammise Naila.

Le amiche si guardarono intensamente negli occhi. Poi entrambe sorrisero, si strinsero per mano e giù di nuovo sull’acceleratore, la macchina lanciata al massimo di velocità, dritta in avanti nella polvere arrossata dalla luce del tramonto.

”Nooo!” gridò Sabil appena comprese l’intento delle donne.

Si slanciò fuori dalla sua auto e tentò di inseguirle a piedi. “Fermatevi! Non potete farlo!”.

Niente da fare, ormai nessuno poteva più frenarle, Naila e Muna proseguirono senza sosta e riuscirono a superare il confine tra Arabia Saudita e Giordania. Erano in salvo. Libere. Nessuno avrebbe più potuto vietare alle due donne di uscire di casa da sole e di guidare l’auto.

  L’ispettore Sabil, compreso che era tutto finito, cadde in ginocchio, sconsolato, in mezzo alla polvere agitata dal vento.

“Siamo perduti!” esclamò, “ora tutte le donne fuggiranno. Che Allah ci protegga! È la fine del mondo!”.

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